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Riflessioni – SimCity 2000

Recensione ‧ Arcologie: città del futuro Il punto di incontro tra architettura ed ecologia, le arcologie mirano a ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente andando a re-immaginare il modo di sviluppare e vivere le città. Arcologie: città del futuro Architettura: disciplina dedita allo studio e realizzazione di spazi fruibili per l’uomo, modificando l’ambiente in diverse scale. Ecologia: disciplina dedita allo studio delle interrelazioni che intercorrono fra gli organismi e l’ambiente che li ospita. Due discipline diverse che vedono però entrambe come maggiori protagonisti l’ambiente e l’uomo. Quest’ultimo, nel suo proliferare come un virus sul pianeta, ha iniziato a modificare pesantemente l’ecosistema, per adattarlo ai suoi bisogni. Dai primi villaggi dell’antichità fino alle moderne megalopoli, l’interesse per l’uomo nei confronti della salvaguardia del suo ecosistema é stato irrisorio, e guardando indietro nella storia umana, il distacco tra queste due discipline, quando si parla di “espandere” la presenza umana su un dato territorio, sembra più che mai immenso. A dirla tutta, le attuali forme di città non sono più neanche a “misura d’uomo” ma a “misura di automobile”. Man mano che le città si espandono, i terreni agricoli vengono allontanati dal centro urbano, i servizi si moltiplicano e si disperdono per le zone della città, e i cittadini si trovano sempre più distanti dai loro bisogni primari e sopratutto lontani dalla natura, principale sostentamento di vita, delimitando sempre più confini, come quello campagna-città, e sviluppando un senso di alienazione dal proprio ecosistema naturale. Se ne accorse Paolo Soleri, architetto e urbanista italiano, che nel 1969 pubblicó “Arcologia: la città a immagine d’uomo”, un testo dove descrive la re-immaginazione di spazi nuovamente a misura d’uomo e con il quale plasma il termine “Arcologia”, un neologismo delle parole “Architettura” ed “Ecologia”, andando a sottolineare il ristabilito rapporto uomo-natura, concretizzato in un maggiore rispetto per l’ambiente e(per estensione) anche per se stesso. Quella di Soleri é però un idea frutto di decenni di ragionamenti e progetti di altri architetti e urbanisti, fin dal 1900, sul tema delle “città del futuro”, che andremo a ripercorrere prima di affrontare cosa é esattamente un arcologia. Oggi come allora viene da chiedersi se le città moderne possano continuare a svilupparsi secondo gli attuali e tradizionali schemi urbanistici o se sia necessaria qualche rivoluzione. Insomma come saranno le città del futuro? Il primo a porsi questa domanda e a dare una prima soluzione é stato l’ideatore delle rotatorie, Eugène Alfred Hénard, che nel 1910 concettualizzò nel suo scritto “Les villes de l’avenir”, una prima idea di città futuristica. L’urbanista francese propose un modello di città con strade multilivello, pensate per smaltire il traffico a livello pedonale, ridurre l’inquinamento, permettere future espansioni e favorire passaggi di condotti per ogni tipo di risorsa. Propose anche edifici, disposti a dentello per massimizzare la luce nelle residenze, e con tetti piani, non spioventi, adatti a diventare all’occorrenza, punti di sosta per automobili volanti. Di questo progetto sono stati ripresi più punti dalle moderne tecnologie di urbanistica, come le strade rialazate rispetto al livello del suolo per il passaggio di condotti e tubature. Le idee di Hénard influenzarono l’urbanista franco-svizzero Charles-Édouard Jeanneret, conosciuto come Le Corbusier. Egli criticava aspramente le città contemporanee perché non al passo con la rivoluzione industriale e piene di ridondanze ed errori urbanistici, che le portarono ad essere più città per le auto(appunto) che non per l’essere umano. Le Corbusier allora sviluppa il “Modulor”, una scala di proporzioni basate sulla dimensione dell’uomo, ed inizia a sviluppare modelli di città dove si vede l’influenza di Hénard, prima nel progetto “Ville Contemporaine” del 1922, dove fa uso della disposizione dentellata degli edifici; si concretizza poi nel progetto più ampio della “Ville Radieuse” del 1930, dove idealizza una città costituita da ampi spazi di verde natura tra gli edifici ed una precisa disposizione degli stessi, con meno del 15% della superficie composta da strutture residenziali che si sviluppano in altezza e con parcheggi alla base. Una ferrovia circonda ad anello la città, restando in periferia. Frank Lloyd Wright, tra le figure più influenti dell’architettura contemporanea, condivide il connubio uomo-natura dei progetti di Le Corbusier, ma vede sprecati(come altri critici) gli ampi spazi tra gli edifici, che diventerebbero semplicemente terreni incolti, possibilmente evitati dalla gente. Diversifica l’idea allora, in campi coltivati e non lontani dalla città e dagli edifici, ma facenti parte della città stessa. Nel 1935, l’architetto statunitense inizia quindi lo sviluppo del suo modello di eco-città ad espansione bidimensionale,“Broadacre city”, primo vero archetipo di città verde e sostenibile, un utopia agraria per così dire, tuttavia altamente dipendente da una rete stradale. Il progetto descriveva i sistemi di trasporto, agricoltura e commercio che avrebbero sostenuto l’economia di una comunità agraria. Secondo Wright, l’eco-città del futuro sarebbe dovuta essere a bassa densità abitativa, distesa orizzontalmente e dispersa nell’ambiente naturale fino alla scomparsa definitiva del confine tradizionale tra città e campagna, come teorizzato nel suo saggio più noto “The Disappearing City”. La città avrebbe utilizzato un sistema stradale ripensato ad eliminare il “trasporto avanti e indietro” e dall’introduzione di macchine volanti per una migliore logistica, fornendo ad ogni unità familiare 1 acro di terra. É proprio nei laboratori di Wright che Paolo Soleri nel 1947 si trasferisce, una volta finiti gli studi a Torino. Qui l’architetto entra in grave disaccordo con le teorie del maestro sul modello di “Broadacre City” perché pesantemente incentrata sulla mobilità e sul sistema stradale, un modello quindi pensato più per le auto che per l’uomo. Nonostante l’ intento di eliminare il confine tra città e campagna ed avvicinare uomo ed ecosistema, le possibilità pedonali dei cittadini risiedevano solamente negli acri di terra disposti alle unità familiari. Inoltre il modello di Wright, che più che un progetto urbano ne rappresentava uno socio-politico, non teneva conto dell’imponente espansione demografica umana e prediligeva uno sviluppo orizzontale, che avrebbe comunque reso necessaria una modifica dell’ambiente circostante. Soleri lascia allora lo studio di Wright e si stabilisce nel 1955 nel deserto dell’Arizona, avviando il suo primo laboratorio urbano(poi divenuto la sua residenza fino alla morte), Cosanti. Qui

Riflessioni – XCOM: Enemy Unknown

Recensione ‧ L’Uplift e le sue digressioni Il concetto di elevazione e tutte le filosofie e dottrine scaturite dall’ispezione del concetto, che a seconda di dettagli, devia verso diverse possibilità, tutte con uno scopo simile. L’Uplift e le sue digressioni Spoiler⤵ Senza andare troppo nel dettaglio, scopriamo nella missione finale di “XCOM: Enemy Unknown” che gli Eterei, non riuscendo a migliorare ulteriormente la propria razza, hanno testato e sperimentato su altre specie in tutto l’universo nel tentativo di identificare una razza degna di essere “elevata”, tant’é che le varie specie aliene che il giocatore incontra, sono state tutte dei fallimenti negli esperimenti degli Eterei. Questo concetto dell’elevazione, é conosciuto nel mondo della fantascienza come “uplift”, ed è una forma di evoluzione proattiva che coinvolge una specie intelligente che decide di migliorare un’altra specie inferiore con interventi culturali, tecnologici o evolutivi. Sono diverse le opere letterarie, cinematografiche e videoludiche che fanno uso di questo espediente, sfociando in diversi altri campi che di seguito accennerò. L’idea di “elevazione” nasce nel 1826, grazie al romanzo dello scrittore H. G. Wells, “L’isola del dottor Moreau”, dove al centro della storia, vi é l’intervento di un medico che attraverso la vivisezione ed il trapianto, porta avanti una “ricerca” per l’ umanizzazione degli animali nel corpo ma anche nella mente, attraverso l’ipnosi. Il termine “Uplift” verrà poi reso famoso dallo scrittore Glen David Brin, con il suo “Ciclo delle cinque galassie” o come é chiamato in inglese “l’Uplift Universe”. L’elevazione, é il fulcro di tutte le teorie pseudoscientifiche riguardo gli antichi astronauti, o il cosiddetto paleocontatto, ovvero l’intervento di un civiltà extraterrestre che stravolge, in un lasso di tempo estremamente ristretto, tutta la cultura, le conoscenze e la religione di un intero popolo. I cambiamenti nelle popolazioni, di qualsiasi tipo siano, sono molto lenti e graduali, e gli unici fattori che possono identificare cambiamenti rapidi nella storia di un popolo sono eventi catastrofici ambientali, gravi crisi economiche o devastanti guerre. Quello che fece il Dr. Moreau nel romanzo di Wells, fu piuttosto forzare il processo di evoluzionismo darwiniano, andando a modificare fisicamente gli animali per umanizzarli(e renderli sostanzialmente “migliori”). Nelle più moderne opere che hanno come argomento l’uplift, si tende a seguire questa linea, andando a interpellare l’ingegneria genetica, (in parte argomento usato in “XCOM: Enemy Unknown”), usata per la modifica della sequenza del DNA di una specie, per conferirle nuove caratteristiche. L’ingegneria genetica permette anche di clonare geni e di conseguenza cellule e forme di vita. Sono stati tanti(oltre venti) gli animali clonati, ed altrettanti i fallimenti. Il più famoso però é sicuramente la pecora Dolly, il primo mammifero ad essere stato clonato. Mentre questi si presuppongono come passi importanti nella scienza, sorgono a riguardo due correnti di pensiero, “Specismo” e “Antispecismo”. Nel libro di Wells, Moreau é spinto sicuramente da un intrinseco specismo, ossia l’autoproclamazione dell’essere umano come specie superiore e dunque legittimata a qualsiasi atteggiamento di interesse per i membri della sua specie e contro i membri delle altre specie. Sostanzialmente questo status attribuito all’uomo, gli permetterebbe la concezione degli animali come oggetti o proprietà a suo uso e consumo. Quando usato nelle opere che riportano l’Uplift, l’elevazione in questo caso é forzata e aggressiva. Molto opere invece tendono a seguire più il movimento dell’antispecismo, nato proprio per opporsi allo specismo. La particolarità dell’antispecismo, secondo il quale é possibile riconoscere a specie non umane diritti validi all’interno delle comunità umane, é la sua doppia natura. Esistono infatti 2 separati rami: l’antispecismo utilitarista si basa sul principio di eguaglianza degli esseri senzienti, cioè se l’essere può provare piacere e dolore, allora il principio di eguaglianza impone di prendere in considerazione il suo interesse a non soffrire e a provare piacere, pur non escludendo il nostro diritto di sfruttarli e ucciderli per fini umani, purché ciò avvenga senza infliggere sofferenze inutili; l’antispecismo deontologico invece, elabora una riflessione basata sul critero-cognizione, dove una specie non umana ha diritti pari a quelli umani, quando questa é in grado di soddisfare interessi personali basati su reali bisogni. Tutto ciò é analizzato anche e soprattutto per permettermi una digressione su quella che é in effetti una forma particolare di antispecismo, ossia il transumanesimo, che riconosce come soggetti di diritto al benessere tutti gli esseri senzienti, indipendentemente dalla loro natura. Il movimento culturale del transumanesimo sostiene principalmente l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive dell’uomo, contrastando malattie ed invecchiamento. In sostanza l’uomo che trascende sé stesso, realizzando le nuove potenzialità della sua nuova natura post umana. Questo é un po’ quello che gli alieni di “XCOM: Enemy Unknown” volevano fare con l’uomo e che hanno tentato di fare con gli altri alieni, risultanti in esperimenti falliti. Le due ideologie che si estendono dai concetti di miglioramento delle capacità fisiche e cognitive attraverso scienza e tecnologia sono l’eugenetica e l’intelligenza amplificata. Attraverso l’eugenetica, si persegue l’ideologia e lo studio sul perfezionamento della specie umana attraverso selezioni artificiali(contrapposte alla selezione naturale), operate tramite la promozione dei caratteri fisici e mentali ritenuti positivi(eugenici) e la rimozione di quelli negativi(disgenici). Questo porterebbe l’uomo a sostituirsi alla naturale evoluzione degli organismi, per estensione, si potrebbe dire che porrebbe l’uomo come una sorta di Dio. Per intelligenza amplificata invece, si intende l’ aumento cognitivo dell’essere umano tramite l’uso efficace della tecnologia dell’informazione. Contrapposto al concetto di intelligenza artificiale, che vede la creazione di un intelligenza simile all’uomo ma autonoma, l’idea dell’intelligenza amplificata ha bisogno della tecnologia solo come supporto aggiuntivo all’intelligenza umana. Praticamente si dimostra una branchia del concetto di “mente estesa”, che così come vede l’abaco o la scrittura, creazioni per estendere le capacità di elaborare le informazioni della mente umana, vede la simbiosi uomo-computer un ulteriore creazione per espandere le capacità di elaborazione umane. Dalla paleoastronautica alla simbiosi uomo-macchina, il concetto di “elevazione” porta a tanti sbocchi riflessivi, che tendono, ognuno, ad espandersi in tantissime altre correnti filosofiche ed ideologie, tutte però molto simili e intercollegate. Queste teorie rimangono comunque nel campo della fantascienza o della cosiddetta

Riflessioni – X-COM: Apocalypse

Recensione ‧ Il Culto di Sirio Le teorie del paleocontatto provano a instaurare legami e creare collegamenti per la stesura di assurde ipotesi, sulla base di nozioni errate e miti comuni, sfruttando la stella di Sirio come punto cardine. Il Culto di Sirio In “X-COM: Apocalypse”, oltre agli alieni, il giocatore deve vedersela anche con i loro sostenitori, che nel gioco si riuniscono sotto l’organizzazione chiamata “Culto di Sirio”. Il riferimento degli sviluppatori qui, é a Sirio e al suo significato nei miti e nella cultura di varie popolazioni nel corso della storia. Sirio é la stella più luminosa del nostro firmamento, visibile da entrambi gli emisferi della Terra e facente parte della costellazione del Cane Maggiore. Il nome infatti deriva dal greco Seirios, che significa splendente o infuocato, riferito alla sua maggiore lucentezza rispetto alle altre stelle, e per questo é stata di grande interesse nei popoli antichi, che gli hanno affibbiato valori religiosi, occulti ed astronomici. Nel 1976, lo scrittore Robert K. G. Temple pubblicò “The Syrius Mystery”, un libro sulla teoria del paleocontatto, in cui sostiene che la tribù maliana dei Dogon avrebbe avuto contatti con una civiltà extraterrestre proveniente da un pianeta nel sistema stellare di Sirio. In particolare fa riferimento alla conoscenza del popolo sulle orbite planetarie e gli anelli dei pianeti, ma soprattutto sulla natura binaria di Sirio. La stella é infatti un sistema stellare binario costituito da “Sirio A”, la stella luminosa visibile dalla Terra, e “Sirio B”, una nana bianca che gli orbita attorno, non visibile senza un telescopio. Come avrebbero fatto quindi i Dogon a sapere di orbite stellari, degli anelli dei pianeti e in particolare, della natura binaria di Sirio? Tutto ciò indusse Temple a formulare la teoria secondo il quale i Dogon siano entrati in contatto con forme di vita extraterrestri, che hanno passato loro conoscenze superiori. Questa teoria é secondo lui sostenuta dal lavoro degli etnologi francesi Marcel Griaule e Germaine Dieterlen, i primi a studiare la cultura Dogon intorno al 1930. I due etnologi parlano di come, secondo la loro mitologia, i Dogon sono stati fondati dai Nommo, esseri anfibi venuti da Sirio a bordo di una nave accompagnata da fuoco e tuoni, impartendo diverse conoscenze, tra cui quelle sul loro sistema stellare. Il problema nella teoria di Temple é lo scarso studio della mitologia Dogon e il lavoro errato ed approssimativo degli etnologi francesi. Un anziano Dogon infatti, nel spiegare tutta la storia agli etnologi, fece dei disegni sulla sabbia, cercando di spiegare il significato di ognuno. L’errore dei francesi é stato il lasciarsi affascinare e focalizzarsi, solo su Sirio, tralasciando il resto. Nella teoria di Temple infatti, lo scritto sembra trascurare tutto il resto della mitologia e del disegno usato per spiegare agli etnologi. Per i Dogon infatti, Sirio é circondata da un secondo elemento, di sesso femminile, che gli danza attorno. E questo elemento potrebbe essere la nana bianca “Siro B”. Il problema é che per loro vi é un terzo elemento, di sesso maschile, che ruota e danza attorno a Sirio A, rendendolo un sistema ternario. L’astronomia moderna ha già escluso che Sirio é o sia stato un sistema ternario, ma Temple sembra trascurare questo dettaglio nelle sue teorie. In realtà lo scrittore ha trascurato tutto il resto della mitologia Dogon, che é fatta di molti altri simboli ed elementi simbolici, che dimostrano come le loro credenze non ruotino tutte intorno a Sirio. Come faceva però questo popolo a sapere degli anelli dei pianeti e delle orbite stellari? Per queste conoscenze in effetti deve esserci stato un contatto con un altra civiltà. A dare risposta a questa domanda ci pensa il divulgatore scientifico Carl Edward Sagan, che spiega come questo contatto si, é avvenuto, ma non con civiltà extraterresti, bensì con civiltà europee. I Dogon infatti, iniziati in quegli anni una discreta occidentalizzazione, avevano le conoscenze di quanto già si poteva imparare da un istruzione scolastica dell’epoca, grazie proprio agli etnologi francesi. Il popolo del Mali infatti sapeva solo degli anelli di Saturno, mentre non sapeva nulla di quelli di Urano scoperti nel 1986 e quelli di Giove, scoperti nel 1995, conoscenze che la scuola francese, ma anche europea e mondiale, non avevano ancora nel 1930. Gli studi successivi dell’olandese Wouter van Beek nel 1992 chiariscono tutte le incongruenze, dimostrando che Sirio non solo non é importante per i Dogon e che per loro non é una stella doppia, ma addirittura che é stato lo stesso etnologo francese Griaule, a parlare per primo di Sirio, quando per i Dogon erano più importanti le fasi lunari ed il sole, creando in questo modo una struttura mitologica errata della cultura Dogon. E se ancora non bastassero tutte queste prove a confutare la teoria di Temple, ci pensa Ian William Ridpath a dissolvere ogni minimo dubbio. L’astronomo infatti ha dimostrato come “Sirio B”, attualmente una nana bianca(in rotta per diventare una nana nera), emana raggi X dalla lunghezza d’onda di molto superiore agli 0,1nm, soglia per il quale si verrebbero a creare ambienti deleteri per lo sviluppo della vita, senza contare che nessun pianeta é presente nel sistema. Tutto questo considerando poi che “Sirio B” é una nana bianca da circa 100 milioni di anni. Questo elimina la possibilità che né ora né in passato, sono state presenti forme di vita complesse ne tantomeno semplici, nel sistema stellare Sirio. Temple sfruttò il mito dei Dogon per estendere la loro mitologia, ponendo i Nommo come fautori di molte civilità antiche, tra cui gli egizi(di cui parla molto di più che dei Dogon nel suo libro) dimostrandosi l’ennesimo speculatore di fantasie surreali sugli egiziani e la loro cultura. Egli, rispetto ad altri pseudoarcheologi, ha smosso l’interesse per via dell’ uso di Sirio, sapendo bene il valore di questa stella per il popolo del Nilo. É risaputo infatti che nell’antico Egitto Sirio era talmente importante da risultare fondamentale, astronomicamente e religiosamente. Era associata a Iside, moglie di Osiride e madre di Horus, che insieme costituivano la Triade Osiriaca, mentre

Riflessioni – UFO: Enemy Unknown

Recensione ‧ Il volto di Marte Il più grande caso di pareidolia che il mondo moderno ha vissuto, durante una delle tappe fondamentali dell’esplorazione spaziale, che ha ispirato teorie cospirazioniste, libri, film, serie tv e, come in questo caso, videogiochi. Il volto di Marte Avanzando nella trama di “UFO: Enemy Unknown” si finisce per identificare la provenienza degli alieni, nascosti in una base sotterranea su Marte, viene anzi specificato che si trova nella regione di Cydonia, un area costituita da piramidi e da una formazione rocciosa che somiglia ad un volto. Gli sviluppatori in questo caso si sono riferiti al, forse più famoso, caso di pareidolia del mondo, avvenuto negli anni ’70. É il 25 Luglio 1976, l’esplorazione marziana da parte dell’uomo sta vivendo una delle sue tappe più importanti. É infatti in corso, da più di un mese, la missione spaziale “Viking 1”, la prima ad avere lanciato una sonda composta da un modulo orbitale e uno di terra. Mentre già il 20 Luglio, il modulo di terra si era distaccato, per atterrare sul suolo marziano, la sonda ha continuato a percorrere l’orbita del pianeta, facendo ciò per cui é stata costruita: scattare immagini ad alta risoluzione del suolo marziano. Ed é proprio in questa data che la sonda, scatta una foto del famoso “Volto di Marte”. Per la precisione la sonda scattò una foto di quella che é chiamata “Cydonia”(dal nome della polis minoica dell’isola di Creta, Kydonia), una regione del suolo marziano con determinate caratteristiche di albedo, composta da aree di mese(la mesa é superficie rocciosa sopraelevata con la cima piatta e le pareti molto ripide), colline e valli. Qui viene identificato il tanto discusso volto. La NASA stessa però, nel momento della pubblicazione della fotografia, ha smentito l’esistenza di qualsiasi forma di volto, spiegando che fosse solo un effetto pareidolistico. La pareidolia, un caso particolare di apofenia, é la tendenza della mente umana ad attribuire forme e profili familiari alle conformazioni amorfe. Un esempio pratico é la tendenza a identificare le nuvole sotto forma di animali o altri oggetti, quando in realtà la sua conformazione é del tutto casuale. Questa illusione subcosciente potrebbe essersi sviluppata in tempi preistorici come forma di difesa per rimanere vigili e poter identificare meglio predatori mimetizzati. Per il volto di Marte, questo effetto é stato causato dalle particolari angolazioni della luce sulla mesa erosa, che hanno creato particolari ombre, con l’aggiunta di un punto nero(presente in gran quantità in tutte le foto scattate dalla sonda, rappresentando una perdita dati dell’immagine) esattamente sulla posizione dell’eventuale narice del volto, andando a stimolare la percezione della faccia su Marte. Foto successive, rese dalla sonda americana “Mars Global Surveyor” nel 1998, o ancora meglio le foto ad altissima risoluzione della sonda europea “Mars Express” nel 2006, mostrano la reale ed effettiva forma della mesa, dimostrando come quel “volto” non fosse altro che una conformazione geologica molto erosa, che ha generato ombre fuorvianti. Basti pensare che un fenomeno simile é avvenuto con il cratere marziano di “Galle” che assomiglia ad uno smile sorridente. Nonostante le rassicurazioni della NASA ai tempi della pubblicazione delle foto, c’é chi ci ha costruito attorno tutta una teoria cospirazionista sull’esistenza di forme di vita intelligenti, spiegando come il volto non sarebbe altro che una struttura artificiale e che insieme ad altre formazioni rocciose vicine, alcune dalla forma vagamente piramidale, disposte in un motivo geometrico, rappresentano i resti di una antica civiltà. A sostenere tale teoria é Richard Hoagland cospirazionista e pseudoscienziato che pubblicò un libro a riguardo nel 1987. Le sue teorie venivano poi appoggiate da Zecharia Sitchin, scrittore di pseudoarcheologia, che sosteneva la teoria del paleocontatto, dichiarando che vi siano riferimenti a tutto ciò nella letteratura sumerica e che, come la Piramide di Cheope sulla Terra, anche il volto di Marte é stato costruito dagli Anunnaki. Nessuna di queste speculazioni e teorie é sostenuta dalla scienza, ed il caso del volto su Marte é già un aneddoto, universalmente accettato come fenomeno di pareidolia. Ovviamente il caso ha stimolato i media e gli artisti, trasformando il fenomeno in storie fantascientifiche come nel romanzo  “Labyrinth of Night” di Allen Steele, o ancora il film “Mission to Mars”  di Brian De Palma, così come una puntata della prima stagione della famosa serie X-Files. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – The Witcher 3: Wild Hunt

cover the witcher 3

Recensione ‧ La Spada del Destino A partire da un estratto del racconto che porta lo stesso nome del titolo, una riflessione sull’ineluttabilità del fato, sul determinismo, l’indeterminismo e la concezione del destino di Georg Simmel. La Spada del Destino L’estratto più iconico del racconto “La spada del Destino” dell’omonima raccolta di Andrzej Sapkowski, è sicuramente un dialogo in una visione di Geralt Di Rivia, tra lui e la regina Calanthe, riguardo la concezione del destino sulla base della scritta incisa sul calice di Craag An, che la driade Eithné ha offerto al witcher. La scritta nel calice recita “La spada del destino ha due lame. Una sei tu”, da questa il dialogo della visione: “«La spada del destino ha due lame. Una sei tu. Ma qual’è l’altra, Lupo Bianco?» «Non c’è destino.» Risponde lui. «Nessuno. Non esiste. Solo la morte ci è predestinata.» «Esatto», risponde la donna dai capelli cenere ed il sorriso misterioso, «Esatto Geralt»” Lo strigo non crede nel destino, piuttosto pensa che siamo noi stessi a costruircelo con le nostre azioni. Tuttavia nel racconto deve fare i conti con l’ineluttabilità del destino, che lo rincorre. Il legame che lo unisce a Ciri è frutto del fato, che lui lo voglia o meno. La stessa Cirilla glielo urla quando lui cerca di allontanarsi da lei, gridandogli che lui non può lasciarla, perché lei “è” il suo destino. Ma Geralt non la lascia perché vuole abbandonarla, ma perché, riflettendo sulla frase nel calice di Craag An, capisce che se lui è una delle lame del destino, l’altra è allora la morte, che lo segue ovunque vada. Per cui non vuole esporre la ragazza ad un simile pericolo. Il significato della frase è però aperto a più interpretazioni. Per esempio è anche possibile che se Geralt è una delle lame, l’altra è Ciri. La cosa trova un appoggio se pensiamo che lo stesso calice su cui è incisa la scritta elfica, è stato offerto ancor prima a Ciri, che vedrebbe ben riflessa la profezia sulla sua persona: Lei è una delle lame del destino, l’altra è Geralt. In questo modo i due sono complementari l’uno dell’altro, ed i loro destini sono indissolubilmente legati. Uno è il destino dell’altro e viceversa. Ma ciò non deve per forza significare che la nostra storia è predeterminata e che noi non abbiamo alcuna voce in capitolo. Se Geralt è una delle lame del destino, questo significa di per se che è lui a scegliere come usarla, forgiando lui stesso la sua storia. Deve però tener conto che quello che fa ha delle conseguenze e determina i movimenti e quindi il destino dell’altra lama, Ciri. Ciò può essere interpretato come la libertà di crearsi il proprio destino, sapendo che esso è legato ad un altra persona. E allora in questo modo il concetto cambia, andando a definire quello che può essere inteso come l’influenza, attraverso le proprie azioni, sulle altre persone. Rispecchierebbe anche il ruolo che Geralt ha nei confronti di Ciri, un padre, che con le sue azioni fa da modello alla figlia. Il team di “CD Projekt RED” ha anche esteso questo concetto nelle decisioni che vanno a influenzare la fiducia che Ciri avrà in se stessa sul finale, determinando anche se questo sarà buono, cattivo o dolceamaro. Geralt è parte del destino di Ciri così come Ciri è parte del suo destino. In una visione pragmatica del concetto di destino, questo è legato alla corrente filosofica del determinismo, che afferma che in natura nulla avviene per caso, ma accade tutto secondo rapporti di causa-effetto, evidenziando il dominio della necessità causale in senso assoluto e negando quindi l’esistenza del caso. Date quindi delle condizioni iniziali, tutto quel che accadrà nel futuro è determinato dalle leggi fisiche dell’Universo, il destino. Di tutt’altro pensiero la corrente opposta al determinismo, ossia l’indeterminismo, che ammette l’esistenza di eventi e serie di cause non-lineari scollegate fra loro, negando l’assolutezza della necessità. Questa dicotomia tra destino e caso ognuno di noi può averla vissuta in prima persona, dando la colpa o ringraziando il caso per un evento o serie di eventi che non ci spieghiamo. Georg Simmel, nella sua ultima opera del 1918 “L’intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici”, apre una parentesi riguardo il concetto di destino dinanzi al problema del significato della vita. In questo suo saggio, l’autore parla di vita, di morte e dell’esistenza umana, ma quando si trova a parlare del significato della vita, ritiene opportuno aprire un paragrafo a parte introducendo l’altra posizione possibile alla casualità sul significato della vita, ossia il destino. In breve, secondo Simmel, esistono due elementi principali: un soggetto, che esiste di per sé, indipendente e che possiede un significato proprio; Poi vi sono degli eventi, degli accadimenti, indipendenti dal soggetto, del tutto casuali e senza significato proprio, che possono però modificare e determinare il significato del soggetto qualora entrino in contatto. Il concetto di destino nasce proprio quando tali eventi “urtano”, per così dire, il soggetto, acquisendo così un significato che non esige essere razionale o comprensibile da qualche idea. In un ottica più concreta e materiale, l’uomo tende a dare ad eventi del tutto scollegati e casuali, un significato soggettivo legato alla propria vita, come per esempio il decidere di percorrere con la bici una strada diversa dalla solita, per poi scoprire che in quella solita strada che percorrevamo, proprio oggi che abbiamo deciso di cambiare, è crollata una palazzina sulla strada. Questo però, dice Simmel, non significa che tutto ciò che ci accade è destino. Vi è infatti una certa “soglia” del destino, un determinato quantitativo di significato che un evento deve possedere perché, da casuale, diventi fato. A determinare tale significato è il flusso interiore della nostra vita, che seleziona tra gli eventi che ci toccano, quelli che meglio si intrecciano al nostro ritmo, identificando questi come segni del destino e considerando gli altri solo eventi casuali. Siamo noi esseri umani quindi, quelli che danno un tale valore agli eventi, per cui li si identifichi

Riflessioni – The Witcher 2: Assassins of Kings

cover the witcher 2

Recensione ‧ Il male minore Titolo del racconto di Sapkowski e filosofia dietro le gesta del personaggio di Geralt, che scaturisce qui in una riflessione sulla giustificazione dei mezzi per raggiungere l’obiettivo e sull’etica di Spinoza. Il male minore “Il male è male, Stregobor. Minore, maggiore, medio, è sempre lo stesso, le proporzioni sono convenzionali, i limiti cancellati. Non sono un santo eremita, non ho fatto solo del bene in vita mia. Ma, se devo scegliere tra un male e un altro, preferisco non scegliere affatto.” In questo estratto del racconto intitolato proprio “Il male minore” nella raccolta de “il guardiano degli innocenti”, Andrzej Sapkowski tinge di grigio la morale umana in un dialogo tra il witcher Geralt di Rivia e il mago Stregoborn, definendo anche in parte il codice di condotta dello strigo. Secondo Geralt il male, in qualsiasi proporzione, è sempre male, per cui se deve scegliere tra due mali preferisce non scegliere. La realtà vedo però il witcher finire inevitabilmente nel compiere delle scelte, sempre. Scelte che sono spesso difficili, ingiuste a volte. Dinanzi ad un dilemma morale del genere, ossia dover scegliere tra due mali, la filosofia del male minore può giustificare la violenza e gli orrori che scaturirebbero dalla scelta? Nel gioco Geralt deve scegliere da che parte schierarsi in una guerra in cui non ha nulla a che fare e alla quale non vuole avere niente a che fare. Ma alla fine, contro voglia, è costretto a fare una scelta. Sceglierne una o l’altra determinerà spesso le vite di molte persone, facendo del bene da un lato e del male dall’altro. Questo concetto del male minore si pone nella filosofia etica con il “dilemma del carrello”, un esperimento mentale creato nel 1967 da Philippa Ruth Foot. Il problema posto all’interlocutore è il seguente: “Un carrello su rotaie senza possibilità di frenare, percorre un binario sul quale si trovano 5 persone legate. Prima che il carrello raggiunga le persone è però presente un deviatoio, che se azionato, devierebbe il percorso del carrello su un altro binario. Tuttavia sull’altro binario è legato un uomo, che verrebbe inevitabilmente ucciso. Azioneresti il deviatoio per salvare la vita alle cinque persone causando la morte dell’altra?” Il dilemma etico tramuta la non scelta di agire come la scelta di lasciar morire le 5 persone e salvare l’altra, mentre scegliere di agire significa scegliere di causare la morte di una persona e salvarne 5. Vedendo il problema in questo modo la maggior parte delle persone sceglie di agire e salvare le 5 persone. Ma se, in uno stesso identico scenario si cambia un particolare, molte persone decidono allora di non agire. E’ la variante della filosofa Judith Jarvis Thomson, a farci capire come non è solo importante l’esito finale, ma anche la percezione del processo attraverso il quale si arriva all’esito. La variante della Thomson infatti, del 1976, pone il quesito in questo modo: “Un carrello su rotaie senza possibilità di frenare, percorre un binario sul quale si trovano 5 persone legate. Voi siete su di un cavalcavia che si affaccia sui binari e davanti a voi si trova un uomo grasso, talmente grasso che la sua massa può fermare il carrello, ma la caduta lo ucciderebbe. Spingeresti l’uomo per salvare la vita delle 5 persone?” Ecco che, posto in questo modo, nonostante a livello concreto si tratti sempre di salvare 5 vite e perderne una, molta più gente decide di non agire. Perchè? Dopo tutto è la stessa cosa, solo posta in modi diversi. Il problema è che nel primo caso, la morte dell’uomo sul binario secondario sarebbe percepita come indiretta e non voluta, con la possibile speranza che magari l’uomo riesca a salvarsi in qualche modo. Nel secondo caso invece, la morte dell’uomo grasso è causata direttamente da chi deve compiere la scelta. Dunque l’interlocutore deve voler uccidere l’uomo grasso per salvare 5 persone. In questo caso il peso morale è maggiore perché non passa per un intermediario come una leva per deviare il percorso, ma si tratta di compiere un diretto atto volto ad uccidere una persona. Dunque nel primo caso la morte della persona sarebbe un effetto collaterale non voluto ma necessario, mentre nel secondo caso è necessario voler uccidere l’uomo per salvare le 5 persone. Una differenza enorme in campo morale ma che nulla cambia nel concreto il problema. E’ la percezione che la persona ha dell’azione e dello scenario a determinare la scelta. Infatti, a dimostrare questo, vi sono diverse altre varianti come per esempio quella che vede l’uomo grasso del secondo quesito come quello colpevole di aver legato le persone sui binari, in quel caso il peso della scelta di uccidere l’uomo per salvare gli altri 5 cambia in relazione al fatto che l’uomo grasso sta per uccidere 5 persone. Vi sono altre diverse varianti del dilemma morale, come il “loop” di Michael Costa del 1987 o “l’uomo nel campo” di Peter K. Unger del 1992. Comunque la si ponga, alla fine dipende tutto da quanto un azione indiretta o diretta influisce sulla nostra percezione di giusto e sbagliato. In qualsiasi variante del problema, siamo sempre portati a scegliere tra due mali, e il nostro intuito ci dice che è meglio uccidere una persona piuttosto che 5, scegliere dunque il male minore. La nostra morale però entra in gioco quando la vita di qualcuno passa inevitabilmente per la morte di qualcun’ altro, causata direttamente da noi, che adesso vediamo la scelta come moralmente sbagliata nonostante, nel panorama complessivo, si tratti sempre del male minore. La cosa dipende molto anche da come si interpreta l’atto di non agire. La non azione è considerata come un atto più indiretto che diretto, per cui nell’ottica di uccidere o non agire si preferisce non farlo, cercando di rincuorarsi del fatto che non è colpa nostra se le 5 persone sono morte, ma sarebbe stata colpa nostra se l’uomo grasso fosse morto. Tornando a “The Witcher”, la sola scelta di non agire e quindi non scegliere di Geralt,

Riflessioni – The Witcher

The Witcher cover

Recensione ‧ Monstrum, o ritratto dei witcher Un libro ricorrente nel gioco come oggetto consultabile, che vorrebbe descrivere “cosa” sono i witcher sfociando in ipocrisia e razzismo. Prendendo spunto da questo elemento, analizziamo la natura e la storia dei witcher della saga, provando a capire “chi” sono.  Monstrum, o ritratto dei witcher C’è un libro ricorrente nella saga, dallo stesso nome del titolo di questa riflessione, che in breve descrive cosa sono i witcher. Attenzione “cosa” e non “chi”. Questo è l’aspetto più importante della questione, poiché il libro è senza firma, anonimo, ma è chiaro che sia stato scritto da qualcuno che non sa tutta la verità sui witcher o che semplicemente li disprezza. Il libro, più che essere di carattere esplicativo infatti, volge a denigrare e decostruire il witcher, dipingendolo per quello che in genere è pagato per eliminare, un mostro. Un atteggiamento, quello degli uomini nei confronti dei witcher, alquanto ipocrita e razzista, anche e soprattutto se si guarda alla storia e al perché siano nati i witcher. Dunque per andare a fondo alla questione analizziamo prima chi sono i witcher, come nascono, perchè nascono e quando nascono, attraverso un excursus della loro storia. Diciamo innanzi tutto che i witcher non nascono, ma vengono creati. Un witcher è infatti un essere umano, preso in tenera età, a cui vengono applicati mutageni in grado di amplificarne le capacità, potenziandone i sensi e permettendo loro di usare una magia limitata. Il processo è però pericoloso e doloroso, non molti sopravvivono, ed inoltre al termine si rimane sterili. A questo processo seguono e precedono sfide e addestramenti specifici, definendo una serie di prove volte a preparare la cavia al processo e allenarla per quello che la aspetta. Chi riesce a superare le prove, diviene un witcher. Questo processo alchemico, oltre che gli addestramenti ideati, è frutto di vecchi esperimenti, effettuati da maghi anni addietro. Quando infatti gli uomini si stabilirono nella parte nord del continente, dovettero vedersela con i numerosi mostri che popolavano quei luoghi. I regnanti dunque, affidarono ai loro maghi il compito di creare un ordine di maghi-cavalieri in grado di eradicare la minaccia dei mostri dalle terre. Iniziarono così esperimenti, che portarono ad un primo manipolo di esseri potenziati ma dalle limitate capacità magiche. Ciò fu visto come un fallimento per la maggior parte dei maghi, che iniziarono a chiamare tali esseri, in modo dispregiativo, witchers(da witch, strega), poiché li ritenevano creature inferiori capaci solo di banali stregonerie(i segni dei witcher), abbandonando gli esperimenti e bandendo i witcher. Alcuni maghi però vollero continuare gli esperimenti, aiutando i witcher a stabilire le serie di prove da affrontare ed addestrandoli nelle arti della caccia, dell’alchimia e dell’anatomia dei mostri, oltre che insegnargli l’uso della spada. Nacque così l’Ordine dei Witcher, i quali componenti viaggiavano per il continente uccidendo mostri e svolgendo i contratti. Tuttavia nel tempo, i witcher dell’Ordine andarono perdendo i valori cavallereschi con i quali venivano addestrati, ed iniziarono a verificarsi diatribe tra gli stessi witcher, finendo in veri e propri scontri tra fratelli dell’Ordine. Questi avvenimenti portarono ad un progressivo smantellamento dell’Ordine dei Witchers, con i suoi membri che pian piano abbandonavano a gruppi l’Ordine per fondare scuole separate e dalle lezioni e valori differenti. L’ultimo gruppo che si allontanò dall’Ordine sancendone la fine, fu quello che poi fondò la scuola del protagonista della saga, la Scuola del Lupo. Dopo questi eventi cominciò la seconda era dei witcher, ora divisi in scuole, che continuavano a fare, seppur con valori e metodi differenti, quello per cui erano nati, uccidere mostri. Verso la fine di questa seconda era, con la diminuzione dei mostri e per i cattivi rapporti con regnanti e chiese, i witcher divennero sempre più rari, fino quasi a scomparire. Con questa infarinatura storiografica, possiamo ora ritrarre un witcher nella sua essenza. Essi sono umani modificati geneticamente, creati per difendere l’uomo dai mostri. Però un witcher non sceglie di esserlo, viene preso contro volontà da bambino, per poi affrontare pericolose prove e mutazioni che nella maggior parte dei casi uccidevano. Se riescono a diventare witcher, devono vivere di contratti, aiutando gli stessi uomini che nel frattempo hanno iniziato a dipingerli come mostri, trattandoli come reietti ma al contempo chiedendo il loro aiuto. Letteralmente costretti a vivere nell’odio di chi devono aiutare. Ironia e tristezza si accavallano quando si pensa che un mostro definito tale perché diverso(il witcher), deve aiutare dei mostri morali(gli uomini) uccidendo creature spaventose e soprannaturali, altrimenti chiamate mostri. Per cui sorge ora la domanda: cosa è un mostro? Se si segue l’origine latina del termine, “monstrum”, questo significa prodigio, fenomeno portentoso, con accezioni che possono essere sia positive sia negative. Il witcher è di fatti un essere dalle capacità portentose, e le mette di norma a servizio dell’uomo. Ma il modo con il quale viene visto, segue l’accezione negativa, secondo cui mostro è qualcuno con deformità o anomalie tali da renderlo disumano, oppure qualcuno che viola tabù e regole sociali tanto da risultare criminale. Insomma una creatura che si discosta dai valori e dagli aspetti tipici dell’essere umano. Quindi l’essere diversi dal “normale”, rende potenzialmente dei mostri. La paura del diverso è quello che sostanzialmente crea i mostri, ma nell’immaginario creato da Andrzej Sapkowski, vi sono creature aberranti, soprannaturali che minacciano la vita delle persone, mostri che solo i witcher sanno e possono combattere. Tuttavia non tutti i mostri sono mostri, o meglio non tutti i mostri nella loro accezione ontologica sono mostri in termini metafisici. Nell’universo di The Witcher infatti non tutti i mostri attaccano gli umani, molti ci convivono e risultano anche esseri senzienti, capaci di ragionare e persino provare emozioni. Ed è qui che il lavoro di un witcher si fa più complicato: capire cosa costituisce l’essere un mostro ed agire di conseguenza, seguendo un codice o una propria morale. Non tutti i witcher agiscono allo stesso modo, dimostrando tra l’altro falsa, la diceria nella lore di gioco, che li vede privi di emozioni. Geralt infatti, si trova spesso

Riflessioni – Wasteland 2

Cover del gioco Wasteland 2

Recensione ‧ Trascendenza e Immanenza Tra mondo materiale e mondo delle idee, si ci mette la tecnologia, nella suo essere sia speranza che piaga per l’umanità, sia mezzo per la trascendenza dell’uomo sia àncora che costringe all’immanenza umana. Trascendenza e Immanenza Nell’affresco “La Scuola di Atene”, Raffaello rappresenta sul punto di fuga i due filosofi Platone ed Aristotele. Mentre il primo punta il dito in alto, ad indicare qualcosa al di là della condizione umana, il mondo delle idee, il concetto di trascendenza, l’altro indica il suolo, ad indicare la realtà, la condizione umana ancorata al mondo materiale, il concetto di immanenza. In Wasteland 2, il proclamato messia Matthias, professa la trascendenza dell’uomo, in una unione uomo-macchina che libererà l’essere vivente delle sofferenze e dei bisogni terreni. Se l’immanenza è sostanzialmente la realtà percepita dall’uomo e la trascendenza è il superamento dei limiti umani che ci avvicinerebbe ipoteticamente alla concezione di Dio, ciò che propone Matthias è il superamento dei difetti umani tramite l’utilizzo di impianti robotici, dunque l’evoluzione professata dal personaggio, la sua idea del prossimo stadio nell’evoluzione umana, sono i cyborg, quelli che nell’immaginario fantascientifico sono esseri al confine tra uomo e macchina. Tuttavia è anche vero che, nella prospettiva di un uomo potenziato dalle macchine, come gli innesti cibernetici, vi è anche l’alternativa delle intelligenze artificiali. Anche queste si dice possano aumentare le capacità umane, ma con gli strumenti attuali le IA stanno diventando sempre più auto-imparanti ed autonome, al punto da poter migliorarsi da sole senza l’aiuto dell’uomo. Questo porta a riflettere su un concetto che scinde l’uomo dalla possibilità della trascendenza e lo ancora all’immanenza, la singolarità tecnologica. Irving John Good, matematico e crittografo britannico che lavorò nel gruppo di Bletchley Park con Alan Turing, nel 1965 si interrogava sulle conseguenze dell’avvento di un’intelligenza superumana, teorizzando che, una volta inventata, una macchina di questo tipo sarebbe stata capace di progettare dispositivi sempre migliori, causando una vera e propria “esplosione di intelligenza” e lasciando l’uomo clamorosamente indietro. Secondo Raymond Kurzweil, inventore, informatico e saggista statunitense, la singolarità ha inizio quando vengono alla luce le “intelligenze artificiali auto-miglioranti”, ovvero computer dotati degli strumenti adeguati per incrementare autonomamente le proprie prestazioni. Gli avanzamenti tecnologici a quel punto cominceranno ad avvenire con tale rapidità, che i normali esseri umani non riusciranno a tenerne il passo, e ne saranno tagliati fuori. Sostanzialmente un’estensione della teoria di Moore applicata alle capacità delle intelligenze artificiali, o al mondo della scienza in generale. Alla domanda se questo scenario possa risultare una minaccia o meno per la popolazione mondiale, Kurzweil ha risposto che l’idea di una intelligenza artificiale capace di schiavizzare l’uomo è pura invenzione. Secondo lo studioso, infatti, in futuro saremo capaci di unire le neocortecce cerebrali, connettendo le funzioni di apprendimento, linguaggio e memoria, rendendoci migliori in tutto. Lo scrittore Vernor Vinge è invece più catastrofista. Secondo lui entro trenta anni, avremo i mezzi tecnologici per creare un’intelligenza sovrumana. Poco dopo, l’era degli esseri umani finirà. La sua singolarità è dunque vista come la fine della civilizzazione umana e la nascita di una nuova civiltà. Insomma la singolarità tecnologica secondo alcuni rappresenta il momento effettivo della trascendenza umana, l’evoluzione definitiva ad esseri superiori attraverso la fusione uomo-macchina, secondo altri rappresenta la creazione di una civiltà superiore costituita da IA auto-imparanti che rappresenterà la trascendenza mentre l’uomo rimarrà indietro, ancorandosi all’immanenza. Tutte teorie e previsioni di un concetto, la singolarità tecnologica, che non si sa neanche se e quando si avvererà. Una questione interessante tuttavia, che rappresenta bene l’esistenza della dicotomia tra uomo e macchina(oltre che fungere da spartiacque tra i movimenti), pone nuove questioni filosofiche: la coscienza. Secondo molti infatti, l’uomo, possedendo una coscienza, rimarrebbe comunque superiore alle macchine, che ne sono prive. D’altro canto però, come possiamo sapere per certo se un essere ha una coscienza o sta solo simulando di averne una? Questa la domanda al cui il famoso Test di Turing cerca di dare una risposta. Per capire infatti se una macchina possa effettivamente pensare come un essere umano, Turing chiede: è capace o no una macchina di far credere a un uomo che ragiona come lui? Ad oggi nessuna macchina è riuscita a superare il test di Turing, ma se ci riuscisse, allora sarebbe in grado di simulare o far credere ad un essere umano di avere una coscienza. E come possiamo noi capire se un’altra persona che sembra un essere umano abbia o meno una coscienza? Per estensione poi nasce un altro dilemma: Come posso io essere sicuro di avere una coscienza? Il “Cogito Ergo Sum” di Cartesio a questo punto non basta più ad identificare me stesso, in quanto si applicherebbe anche a intelligenze superiori: se sono una macchina in grado di simulare il pensiero umano come tale posso ingannarmi nel pensare di avere una coscienza ergo ingannarmi di essere un essere umano. Il concetto di identificazione di se stessi sfuma nella possibilità che, l’animo umano, le emozioni, la coscienza, possano essere simulate. La trascendenza della condizione umana solleva diversi scenari che, ad oggi, terrorizzano per via delle implicazioni sulla concezione dell’essere e di quanto e come una macchina possa arrivare a simulare ed assomigliare in tutto e per tutto ad un essere umano. Nel romanzo “Do android dream electronic sheep?” di Philip K. Dick però, viene esposta un altra possibilità, ossia che non sono gli androidi ad assomigliare agli uomini, ma sono gli uomini ad assomigliare agli androidi, in quanto un androide può solo simulare di avere sentimenti mentre l’uomo può scegliere di non averne, abbandonando la sua umanità. Che l’uomo possa raggiungere la trascendenza o meno attraverso le macchine non ci è dato saperlo ancora, ma di certo trascendere la nostra natura ci renderebbe entità diverse da quelle che siamo adesso, significherebbe avvicinarsi o diventare Dio, con onniscienza e onnipresenza garantiti da una gigantesca rete neurale. Nel 1954, nel racconto breve “Answer”, Fredric Brown immaginò un supercomputer talmente evoluto da possedere tutto il sapere di tutte le galassie. Davanti a tale macchina il

Riflessioni – Wasteland

Recensione ‧ I fisici hanno conosciuto il peccato La frase di Oppenheimer che metaforicamente trascina il mondo nell’epoca atomica, nella guerra fredda e nella corsa agli armamenti nucleari. In questa riflessione, una rapida occhiata al percorso evolutivo del nucleare e sulle sue possibili conseguenze. ‧ Texas Rangers La più antica forza di polizia statale della storia degli Stati Uniti, che vede un retaggio fatto di luci e ombre, nel periodo dell’espansione americana nel Nord America. I fisici hanno conosciuto il peccato Il 16 Luglio 1945 durante il test “Trinity” ad Alamogordo, Nuovo Messico, è stata esplosa da parte degli Stati Uniti la prima bomba atomica della storia, nome in codice “The Gadget”. Neanche un mese dopo, il 6 Agosto 1945, la bomba atomica con il nome in codice “Little Boy” viene fatta esplodere a circa 600m d’altitudine sopra Hiroshima. “…i fisici hanno conosciuto il peccato,e questa è una ‎‎conoscenza‎‎ che non possono perdere.” Con questa frase Oppenheimer commenta il bombardamento della città giapponese. Appena 3 giorni dopo, con il nome in codice “Fat Man” esplode la terza bomba del “Progetto Manhattan” sempre a circa 600m, nei cieli di Nagasaki. Termina così la Seconda Guerra Mondiale. Rispettivamente di 15 e 21 Chilotoni, le bombe sganciate sulle città giapponesi sono state le uniche nella storia ad essere state usate in guerra, causando dalle 130 alle 250mila morti. Il mondo entra di fatto nell’era atomica, introducendo profondi cambiamenti nel pensiero sociopolitico e nell’andamento dello sviluppo tecnologico. Comincia così la corsa all’armamento nucleare dopo il primo test russo nel 1949 e per la prima volta, le lancette del “Doomsday Clock”, vengono spostate in avanti. Se quelle esplose in Giappone fanno paura, quelle di adesso allora dovrebbero rabbrividirci. L’evoluzione della bomba atomica è subito stata la bomba termonucleare, o così detta bomba H, per l’utilizzo di elementi leggeri come l’idrogeno. Il 1º marzo 1954 gli Stati Uniti esplodono nel test “Castle Bravo” una bomba dalla potenza di 15 Megatoni, l’equivalente di 714 volte la bomba su Nagasaki e 1000 volte quella su Hiroshima. Seppur un test fallito, in quanto l’esplosione eccedette di quasi tre volte la potenza prevista(portando a danni nelle zone limitrofe che il governo dovette risarcire), questa è stata la più potente arma nucleare esplosa dagli Stati Uniti. Il crescente numero di test nucleari porta alla creazione, nel 1958, della campagna per il disarmo nucleare, un movimento il cui stemma è l’attuale simbolo della pace, rappresentante nell’ alfabeto semaforico le lettere N e D(Nuclear Disarmament). Nonostante la crescente preoccupazione delle popolazioni e lo sviluppo della teoria della ”mutua distruzione assicurata” o del cosiddetto “deterrente nucleare”, i test sugli armamenti nucleari continuarono e nel 1961, l’Unione Sovietica, sviluppò e testò la tuttora più potente arma termonucleare mai vista. Con il nome “Bomba Zar”, l’ordigno fu fatto esplodere sull’isola di Novaja Zemlja, sviluppando una potenza di 50 Megatoni, oltre 3000 volte la potenza di “Little Boy”. Sono seguiti test nucleari di minor entità da diversi stati nel corso degli anni seguenti, finché il 1° Luglio 1968 non viene firmato il “Trattato di non Proliferazione Nucleare” o “TNP”, un trattato internazionale basato sui principi di disarmo, non proliferazione e uso pacifico del nucleare. Firmato inizialmente da Regno Unito, Stati Uniti ed Unione Sovietica, si aggregarono in seguito le altre due potenze nucleari Francia e Cina nel 1992. Nel corso degli anni è diventato il trattato con il maggior numero di stati firmatari. Gli unici a non aver firmato sono India, Israele, Pakistan e Sudan Meridionale. La Corea del Nord, che aveva inizialmente aderito, se ne ritirò nel 2003. Nel 2021, le testate nucleari note nel pianeta si attestavano intorno alle 13.000, con USA e URSS che detengono quasi il 95% del totale, seguite da Cina, Francia e Regno Unito. Un numero che è andato via via diminuendo. Il 22 Gennaio 2021 è entrato ufficialmente in vigore il “Trattato per la proibizione delle armi nucleari” o “TPNW”, un trattato internazionale legalmente vincolante per la completa proibizione delle armi nucleari, rendendole illegali. Aperto alle firme dal 20 settembre 2017, è entrato in vigore dopo la firma del 50esimo stato, ed attualmente conta 59 stati aderenti. Nessun membro della NATO o Stato possessore di armi nucleari ha firmato il trattato. Ciò la dice lunga sulla situazione attuale delle armi nucleari, un contesto per la verità in stato di quiete con lenta ma progressiva diminuzione degli ordigni atomici mondiali, ma ancora potenzialmente reale e tenuto in piedi dalla teoria “MAD”(Mutual Assured Destruction) sopra citata, che asserisce la mutua distruzione delle nazioni nel caso in cui, anche una sola testata, venga lanciata in territorio avversario, in quanto l’attacco scatenerebbe un’ovvia risposta da parte del nemico e/o degli alleati, in un incontrollata escalation mondiale di nuclearizzazione, portando alla fine solo sconfitti, nessun vincente, nessun armistizio. Attualmente però, uno scenario come quello di “Wasteland”, dove USA e URSS procederebbero ad un mutuo lancio delle proprie testate nucleari è altamente improbabile. Secondo la FEMA infatti, nell’ottica di una possibile risposta americana ad un attacco nucleare, la Russia procederebbe all’evacuazione di almeno le città più grandi e popolose per ridurre il numero di vittime, in un’operazione nazionale che si stima necessiti dai 2 ai 5 giorni. Tali movimenti di popolazione su larga scala sarebbero prontamente rilevati da fonti di intelligence statunitensi e interpretate come un avvertimento di un imminente attacco nucleare. In aggiunta vi sono i rischi conosciuti(anche se non completamente e con assoluta certezza) non solo dei danni a breve termine, ma anche e soprattutto quelli a lungo termine, impossibili da controllare e diretti indistintamente in qualsiasi parte del globo. Secondo uno studio pubblicato nel “Journal of Geophysical Research: Atmospheres”, nel caso di un conflitto fra Russia e Stati Uniti, si innalzerebbero nel cielo fino a 150 Megatonnellate di cenere radioattiva, che disperdendosi nell’atmosfera, causerebbero una quasi totale rifrazione dei raggi solari per almeno un decennio, arrivando ad abbassare le temperature fino a 9°C, ridurre le precipitazioni del 30% ed il successivo collasso delle colture globali. Una rappresentazione di quello che convenzionalmente viene

Riflessioni – Monkey Island 2: Le Chuck’s Revenge

Cover del gioco Monkey Island 2: LeChuck Revenge

Recensione ‧ L’interpretazione dell’interpretazione Quali conclusioni é possibile trarre se si cerca di dare una determinata interpretazione all’interpretazione del protagonista di Monkey Island? Un gioco di parole che nasconde però un analisi sul background di tutta la narrazione della saga, così come dei personaggi e delle ambientazioni. ‧ Speculazioni e teorie Sono tante le teorie dei fan sui possibili retroscena, sui personaggi, sulle ambientazioni e sulla trama della saga di Monkey Island. In questa riflessione ne analizzo alcune e ne aggiungo una mia. L’interpretazione dell’interpretazione Spoiler⤵ Ron Gilbert non ha mai nascosto che per la realizzazione della saga si sia ispirato, almeno in parte, all’attrazione Disneyland “Pirati dei Caraibi”. Questo è deducibile anche da alcuni parallelismi tra scene in “Monkey Island” e parti della corsa dell’attrazione, il più evidente, per citarne uno su tutti, è la scena in “Monkey Island 2” dove Guybrush per uscire dalla cella in cui è rinchiuso offre un osso al cane che tiene in bocca le chiavi, stessa identica scena è presente nella corsa del parco a tema a Disneyland, tra l’altro riportata successivamente anche nel film de “Pirati dei Caraibi: La maledizione della prima luna” del 2003. L’ispirazione però non sembra fermarsi al setting piratesco o a qualche scena particolarmente simile alla corsa, ma piuttosto alla concezione stessa di attrazione di un parco divertimenti, ossia una momentanea immersione in un immaginario creato ad hoc, dal quale lasciarsi trasportare. Va da sé che, più si è grandi e maturi, meno viene l’effetto di immersione, che è decisamente più di impatto in un bambino che in un adulto, non a caso il parco divertimenti è in primis indirizzato ad un pubblico particolarmente giovane. Fatta questa doverosa premessa giungiamo all’analisi dei 2 lavori di Gilbert, il primo e soprattutto il secondo capitolo della saga di “Monkey Island”, che ha formalmente aperto lo spunto di riflessione per i suoi contenuti e per il particolare finale a cui arriveremo. Molte teorie si domandano o comunque girano attorno ad un punto sul quale è solo possibile speculare, ossia quale è il segreto di “Monkey Island”. Nella seguente analisi non ci concentreremo su questo ma piuttosto su una serie di elementi che determinano un fatto che più che teorico, è una, non formalmente rivelata, verità, ossia che i primi due capitoli della saga sono frutto dell’immaginazione di un bambino, o meglio sono la reinterpretazione della realtà, attraverso gli occhi di un giovanissimo Guybrush. Cominciando dal primo capitolo, nel quale ad avvalorare(per adesso solo lievemente) tale tesi vi è l’iniziale introduzione del personaggio: come si è ritrovato Guybrush sull’isola, se questa era sotto embargo da LeChuck che non permetteva a nessuno di entrare o uscire? Vi è poi un particolare anacronismo dato dal distributore di bevande nel porto di Stan, cosa che non sarebbe dovuta esistere “al tempo dei pirati”. Anacronistiche sono anche le T-shirt che il protagonista deve trovare come ricompensa delle tre prove da portare ai pirati per essere proclamato lui stesso un pirata, un oggetto la t-shirt, possibilmente tipico di un evento come anche di un attrazione specifica di un parco a tema. Abbastanza particolare è anche l’uomo travestito da troll, di certo fuori contesto nel tema piratesco, meno se si considera l’esistenza di altre attrazioni di tutt’altra ambientazione in un parco a tema. Anche una frase di Guybrush è piuttosto particolare: quando infatti affronta in un duello di spada i primissimi avversari, se chiede il perché l’avversario parli così, riceve la risposta: “All pirates talk like this, come on Guybrush! Play along!”, che tradotto sarebbe “tutti i pirati parlano così’, avanti Guybrush, stai al gioco”. Ma fin qui, tutto questo può benissimo far parte dell’ umorismo e comicità del titolo che sfrutta anacronismi e battute al limite della rottura della quarta parete per intrattenere il giocatore. Ma è nel secondo capitolo che tutto ciò si concretizza, e ci arriviamo attraverso una scena del primo capitolo della saga che ben si collega al secondo: nel vicolo dove parleremo con lo sceriffo Fester, se interagiamo con l’unica porta lì presente, questa non sarà apribile e reciterà la scritta: “Staff Only”, riservato al personale. Visto nell’ottica del solo primo capitolo, può essere considerato anche questa una semplice battuta, ma questa porta è presente anche in Monkey Island 2, che apriremo dall’interno accedendogli da un ascensore, ma andiamo per gradi. Anche in “Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge” vi sono diversi anacronismi e qualche momento di rottura della quarta parete, per citarne uno su tutti la scimmia che serve da chiave per chiudere il flusso della cascata. Prendendo in esame proprio questo esempio, osserviamo come “Monkey Island 2” è diverso dal primo, poiché la realtà irrompe maggiormente nell’immaginazione di Guybrush. Quando deve chiudere il flusso si trova davanti un macchinario decisamente avanzato per il suo tempo e per chiuderlo utilizza una scimmia(monkey) come chiave inglese(monkey wrench). La trasformazione nell’immaginario di un bambino è presto fatta, eppure anche questa può essere considerata una scelta stilistica di umorismo. Ma dov’è allora che la realtà irrompe nella fantasia e tutti gli indizi e speculazioni si concretizzano in un dato di fatto? Nel finale Guybrush cade in un complesso di tunnel. Questi sono in cemento, con tubature metalliche, lampade rinforzate e l’accesso ad un ascensore, lo stesso che ci porta al vicolo del primo Monkey Island attraverso quella porta inapribile con la scritta “staff only”, questa volta con coni segnaletici ad impedirci di raggiungere il resto di “Melee Island” ed una scritta su un nastro segnaletico che recita ”chiuso per manutenzione”. Tutto ciò è decisamente al di là del tempo di ambientazione della storia e troppo palese ed irruento nello scenario da passarlo per anacronismo comico, inoltre non può essere la maledizione di LeChuck, in quanto l’arcinemico del pirata agisce sulla bambola voodoo (e quindi su Guybrush) solo dopo che questo sia già caduto nel complesso in cemento. Senza contare le altre stanze presenti nei tunnel, che sembrano magazzini di souvenir o di materiale guasto, vedi le scatole di bambole o la macchina di grog del

Riflessioni – The Secret of Monkey Island

Cover del gioco The Secret of Monkey Island

Recensione ‧ La necessità di rinnovare Gli Adventure si stavano ormai saturando di meccaniche ed idee di design stantie e ripetitive. É allora che Ron Gilbert decise iniziare a rivoluzionare il genere, iniziando con Maniac Mansion per poi partorire The Secret of Monkey Island, che sfidava tutti gli Adventure del tempo opponendosici in ogni aspetto. La necessità di rinnovare Quando si pensa alla storia degli Adventure non si può fare a meno di nominare “The Secret of Monkey Island”, titolo che ha dato una svolta importante al genere e ne ha segnato l’inizio di quella che viene chiamata epoca d’oro del genere Avventura. Si può infatti definire un prima ed un dopo “The Secret of Monkey Island”. Fino alla sua uscita, i giochi d’avventura erano a riga di comando, bisognava digitare con la tastiera l’azione che volevamo compiere, incorrendo non poche volte ad errori di battitura o a scelte sbagliate del verbo corretto necessario. Si presentavano inoltre abbastanza spesso momenti di dead end, ossia situazioni dove a causa di un bug o molto più spesso di errori di game design, il giocatore era costretto a riavviare il titolo o caricare un salvataggio precedente, poiché era impossibile proseguire. Era diventata prassi inoltre, intorno all’88-89, riempire l’avventura di “azioni pericolose”, ovvero azioni apparentemente innocue svolte dal giocatore, come anche solo controllare un oggetto casuale o dare una determinata risposta, che portavano alla morte del personaggio, spesso in maniera inaspettata. Ciò permetteva di “allungare il brodo” e dare la sensazione di un’esperienza più duratura nel tempo. Anche con oggetti ed enigmi si poteva incorrere in errori di game design, dove non si poteva proseguire per esempio senza un determinato oggetto, presente in una stanza ormai non più accessibile arrivati a quel punto. Tutta questa serie di elementi iniziava a pesare troppo ai giocatori, ed un game designer, Ron Gilbert se ne accorse. La sua prima mossa verso la rivoluzione del genere avvenne con Maniac Mansion. Per questo titolo venne sviluppato un engine che da lì a poco sarebbe diventato lo standard per la Lucas Arts e avrebbe influenzato i successivi titoli di altre case di produzione, lo SCUMM(Script Creation Utility for Maniac Mansion). Grazie a questo tool, nato in origine per semplificare la vita agli sviluppatori, Maniac Mansion sfoggia un elenco di diversi comandi, che hanno la stessa funzione di quelli scritti in linee di comando, ma con la comodità di averli a portata di click senza paura di sbagliare o scrivere male. Maniac Mansion è stato l’inizio, il preludio per quello che sarebbe giunto dopo nel 1990. Ron voleva sdoganare quegli elementi fastidiosi che ormai contraddistinguevano le avventure grafiche come diceva in un suo articolo del 1989 “Why Adventure Games Sucks” dove criticava anche una certa ripetitività dei setting narrativi, primo fra tutti il fantasy. Si fece ispirare così dall’attrazione Disney “Pirati dei Caraibi” e dal romanzo “On Stranger Tides” sviluppando la storia del primo capitolo di Monkey Island. Per le ambientazioni di Melèe Island si ispirò ad un paese della Baviera. Scelse inoltre che l’umorismo sarebbe stato il cuore del gioco e non una feature abbondante, a cominciare dal protagonista, Guybrush Threepwood, nome nato perché in Dpaint lo sprite del personaggio era inizialmente chiamato guy, e la sua estensione di file era .brush, guy.brush=Guybrush. Threepwood invece fu scelto perché difficile da pronunciare, ispirandosi ad uno dei personaggi dell’umorista inglese P. G. Wodehouse. Non solo questo. Lo SCUMM fu aggiornato e molti verbi inutili furono rimossi, restituendo alla fine solo 9 verbi in un’interfaccia più pulita. Altro grande cambiamento infine è l’impossibilità di perdere. Finalmente, con The Secret of Monkey Island, il giocatore non ha più paura di interagire con tutto il mondo di gioco e di rispondere con qualsiasi scelta disponibile ai personaggi in quanto questi non porteranno mai ad un game over. E’ anche impossibile rimanere bloccati per errori di game design o bug, permettendo di affrontare con totale serenità il titolo e godersi la comicità che propone. Umorismo prorompente, interfaccia SCUMM semplificata e ripulita, impossibilità di sbagliare; il tutto misto ad un setting originale dall’atmosfera accattivante e dalla colonna sonora memorabile che hanno sancito un momento nell’industria in cui si modellava un genere. Ron Gilbert, insieme a Tim Schafer e Dave Grossman e con le musiche di Michael Land, hanno segnato un nuovo tassello dell’industria videoludica e cambiato per sempre il genere delle avventure grafiche, che da lì in poi si adatteranno e rimarranno inesorabilmente influenzate dalla pietra miliare che è “The Secret of Monkey Island”. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Bioshock Infinite

Cover del gioco Bioshock Infinite

Recensione ‧ Interpretazione a Molti Mondi La teoria della meccanica quantistica dell’ interpretazione a molti mondi propone una diversa considerazione del collasso della funzione d’onda rispetto all’interpretazione di Copenaghen, che vede sostanzialmente annullato qualsiasi paradosso relativo al tempo e allo spazio. ‧ Il battesimo La simbologia dietro il battesimo in Bioshock Infinite, che attraverso i sottotemi dell’eccezionalismo di Columbia, il razzismo, la ribellione e l’estremismo religioso, porta al classico tema cardine della serie, la scelta, in un viaggio attraverso i preconcetti di destino e predeterminazione, tra passato e futuro, tra variabili e costanti. Interpretazione a Molti Mondi Il cognome di Booker DeWitt è un (molto) probabile riferimento a Bryce Seligman DeWitt, un fisico teorico dedicatosi specialmente alla meccanica quantistica e alla cosmologia, che rielaborò la teoria del 1957 di Hugh Everett III su un’interpretazione della meccanica quantistica contrapposta alla più diffusa “interpretazione di Copenaghen” di Bohr e Heisenberg. DeWitt battezzò questa teoria “Interpretazione a molti mondi”. Il problema principale della meccanica quantistica è il fatto che nonostante la teoria sia stata verificata sperimentalmente, alcuni punti lasciano spazio a varie interpretazioni che dipendono principalmente da come viene considerata la funzione d’onda ed il collasso della stessa. Per funzione d’onda si intende una complessa equazione che rappresenta la densità di probabilità dello stato di un sistema fisico in specifiche coordinate spaziali e temporali. L’intero argomento è di interesse non solo nell’ambito scientifico ma anche in quello filosofico, con interessanti spunti nell’ontologia. L’obiettivo primario dell’interpretazione a molti mondi è quello di evitare il possibile collasso della funzione d’onda, ossia la riduzione delle probabilità nel momento dell’osservazione del sistema fisico considerato. Un esempio famoso ed abbastanza pratico per comprendere questi concetti è il paradosso del gatto di Schrödinger. Il fisico austriaco propone uno scenario nel quale abbiamo un gatto in una scatola chiusa, insieme ad un congegno in grado di ucciderlo, che ha la probabilità del 50% di attivarsi o meno. Finché non apriamo la scatola e osserviamo dentro, il gatto è potenzialmente sia vivo che morto. Ciò rappresenta lo spettro di probabilità che può avere la funzione d’onda. Nel momento dell’osservazione sapremo se il gatto è vivo o morto e questo momento corrisponde al collasso della funzione d’onda, in quanto si riduce lo spettro di probabilità ad una sola delle due possibilità. Questo ovviamente è un esempio semplificativo applicato ad un sistema macroscopico, ma rende bene l’idea. Mentre con l’interpretazione di Copenaghen “la realtà” è unica, ossia la funzione d’onda collassa ad una sola delle possibilità, con l’interpretazione a molti mondi non avviene nessun collasso della funzione, ed il fatto che il gatto è, prima dell’osservazione, sia vivo che morto, non rappresenta un paradosso, entrambi gli eventi infatti si verificheranno sicuramente in due distinte realtà indipendenti, solo che l’osservatore potrà accertare solo quella al quale appartiene. Entrambe le interpretazioni hanno diverse altre variabili e punti ambigui, come i principi di località, realtà e completezza di uno stato fisico, il problema della misurazione e dell’entanglement quantistico che rendono complesso l’argomento ma permettono di capire il perché l’esistenza di molteplici interpretazioni di una teoria fisica(la meccanica quantistica) rivoluzionaria che introdusse a suo tempo la fisica moderna e che si fa pioniera del futuro dell’umanità. Applicando tutto questo al contesto narrativo di “Bioshock Infinite”, il potere di Elizabeth è sostanzialmente quello di poter verificare le altre realtà al di fuori della sua, scegliendo non solo le coordinate spaziali ma anche quelle temporali. Ciò la renderebbe potenzialmente onnisciente ed onnipresente. A cura di:Exion 22 Giugno 2023 Il battesimo Spoiler⤵ Quella di Zachary Comstock è una teocrazia imposta sulla base delle sue presunte abilità profetiche. Con l’aiuto di Rosalind Lutece Comstock ha potuto viaggiare per molti mondi ed ere, e grazie a ciò ha fatto credere di essere un profeta. La stessa Columbia è pensata come paradiso terrestre, tra le nuvole, neoclassica ed estremamente pacifica, sia nell’architettura che nei colori. Questa bella facciata nasconde un forte eccezionalismo americano ed un’ estremo patriottismo, che sfociano in ideali puritani e xenofobi. Columbia è da considerare quasi come la “Città Santa”, che sta al di sopra delle altre(metaforicamente e letteralmente) ed anzi sarà fautrice della distruzione della “Sodoma di sotto” come dice Comstock nei suoi discorsi, in una sorta di destino manifesto per il popolo di Columbia. Un nazionalismo che, sorretto da una forte fede religiosa, produce gli evidenti sottotemi di “Bioshock Infinite”: razzismo ed estremismo religioso. Da una parte abbiamo Jeremiah Fink e Daisy Fitzroy, dall’altra Zachary Comstock e Booker DeWitt. Sul tema del razzismo vediamo Fink, uno dei Fondatori e imprenditore fortemente capitalista a cui poco importa delle profezie di Comstock e che vuole solo arricchirsi, sfruttando i suoi lavoratori, trattandoli come schiavi. Fink divide il mondo in leoni, bestiame e iene, dove i leoni sono i leader, il bestiame i lavoratori e le iene coloro che vogliono rubare il bestiame. Addita se stesso e Booker come leader ed aggiunge che “i leoni stanno con i leoni, non con le iene” riferendosi ai suoi accordi con la Fitzroy. Daisy, donna di colore che fu accusata ingiustamente della morte di Lady Comstock, fondò i Vox Populi subito dopo, ed iniziò una rivolta contro Fink ed i Fondatori, cercando di portare giustizia a Columbia. Intelligente e da forti principi morali, ha però creato un movimento diventato troppo sanguinoso ed eccessivamente aggressivo, che una volta scoppiata la rivoluzione, vandalizza e distrugge tutto, terrorizzando ed uccidendo anche cittadini innocenti. Insomma due facce alla fine, di una stessa medaglia. Sul tema dell’estremismo religioso abbiamo invece il profeta Comstock ed il falso pastore DeWitt, che come per Fink e Fitzroy “l’unica cosa che li distingue, è come scrivi i loro nomi” per citare lo stesso Booker, e tale frase non può essere più vera in quanto i due sono due versioni di una stessa persona. Questo sottotema infatti introduce quello principale, tipico della serie, la scelta, scelta che ha creato i mondi a seguire a partire da un solo topico momento…il battesimo. Nella scelta se battezzarsi o meno, otteniamo il Booker che ha venduto

Riflessioni – Bioshock 2

Cover del gioco Bioshock 2

Recensione ‧ La Famiglia del Morfo Blu Il Morpho Menelaus, la farfalla dalle ali blu iridescente, é il simbolo del culto della dottoressa Lamb, che segue una dottrina opposta all’individualismo di Rayan, andando a valorizzare la comunità ed il concetto di famiglia. La Famiglia del Morfo Blu In Bioshock 2 l’immagine più ricorrente è senza dubbio la farfalla blu. Questa ha decisamente molteplici significati e si presta a molti parallelismi con la storia e la filosofia portata avanti dal titolo. Il nome della farfalla è per esattezza il Morpho Menelaus o Morfo Blu. Questa è stata usata dalla dottoressa Sofia Lamb prima come simbolo ed immagine di copertina del suo libro “Unità e Metamorfosi”, divenuto tra i membri della Famiglia di Rapture un vero e proprio testo sacro, poi usato come simbolo effettivo per identificare gli appartenenti alla “Famiglia”, ma perché? Simbolicamente la farfalla blu significa rinascita e metamorfosi, e questo è uno dei punti focali della filosofia collettivista della Lamb, liberarsi dalla concezione individualista di sé e rinascere come essere al servizio della “Famiglia”. Un’ ascesa estremista dell’altruismo tanto rigettato da Andrew Ryan che finisce per svilire il singolo in favore di una valorizzazione dell’interdipendenza in una comunità che segue(e ne ha fatto culto) le parole della psicologa Sofia Lamb. Una specie di Teocrazia basata sull’abbandono dei vecchi ideali individualisti di Ryan e sull’abbracciare il collettivismo della Famiglia di Rapture. Dunque il Morfo Blu è l’imago della famiglia, con parallelismi: sul piano psicologico, in quanto l’imago è la rappresentazione inconscia che orienta il modo in cui un soggetto vede l’altro, così infatti i cultisti della Famiglia vedono Eleonor come il messia; sul piano biologico, in quanto l’imago rappresenta lo stadio finale della metamorfosi di un insetto, così come un nuovo membro della famiglia, matura, abbandonando la ricerca della propria felicità e mettendosi al servizio della Famiglia. Qualsiasi membro del culto quindi, vuole raggiungere il fine ultimo di liberarsi dalla concezione individualista di se stesso ed alcuni finiscono per concedersi come sacrificio ai bocchetti d’uscita delle sorelline(addobbati per tutta Rapture a mo’ di altari), per farsi estrarre l’ADAM. Quest’ultimo è visto in modo estremamente negativo dalla Famiglia, fonte primaria di corruzione a Rapture, al punto da poter considerare le lumache marine dell’ADAM come Demiurgo del culto. Il Demiurgo gnostico è una creatura mostruosa nata, senza contributo di un partner, dall’ Eone “Sophia”(saggezza divina). Questo mezzo Eone è visto come scultore malvagio del mondo fisico. Sua madre, Sophia, desiderava creare qualcosa di diverso dalla totalità divina, senza la ricezione dell’assenso divino. In questo atto di creazione separata, diede alla luce il mostruoso Demiurgo e, vergognandosi della sua azione, lo avvolse in una nuvola e creò un trono per lui al suo interno. Il Demiurgo, isolato, non conobbe sua madre, né nessun altro, e concluse che solo lui esisteva. Questa creatura, creò tutto il mondo materiale, ma Sophia riuscì ad infondere nella materia la sua scintilla divina, salvando così il creato e l’umanità dal Demiurgo. Ora la psicologa non ha di certo creato l’ADAM, ma è interessante notare come il suo nome significhi saggezza, sapienza, ed il suo culto in effetti prenda per dogmi le sue parole. Inoltre, come l’Eone Sophia con l’umanità, li ha aiutati a salvarsi dal Demiurgo(l’ADAM) e ha instillato in loro la scintilla della saggezza permettendogli di maturare dalla concezione individualista di sé e rendendoli parte di una grande famiglia. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Bioshock

Cover del gioco Bioshock

Recensione ‧ No Gods or Kings, only Man La filosofia di Andrew Ryan come caricatura e rappresentazione dell’oggettivismo di Ayn Rand. Le similitudini si sprecano nel confronto tra i lavori della scrittrice e il mondo di “Bioshock”, in un interessante riflessione sui parallelismi riscontrati nei concetti e nelle filosofie, culminanti nella frase “No Gods or Kings, only Man”. ‧ Uomo e schiavo La filosofia principale di “Bioshock” é il principio di scelta. Il titolo gioca molto su questa parola e sul suo significato, andando a stratificare i livelli di interpretazione e creare una profonda connessione tra gioco e metagioco, enfatizzando la frase “Un uomo sceglie, uno schiavo obbedisce”. No Gods or Kings, only Man L’intera Rapture si rifà al suo fondatore Andrew Ryan, come simbolo di individualismo ed oggettivismo. Non a caso il nome e la storia del personaggio richiamano la scrittrice Ayn Rand, anche lei di origini russe poi trasferitasi in America, fondatrice dell’oggettivismo ed autrice tra le altre cose de: “La rivolta di Atlante”, romanzo al quale si ispira Bioshock. I parallelismi con la Rand e i suoi romanzi non finiscono qui: le sue opere maggiori sono infatti la “fonte meravigliosa” e “la rivolta di Atlante”, che nella lingua originale s’intitolano “Founteinhead” e “Atlas Shrugged” chiari riferimenti a Fontaine e Atlas. Come detto tutto il gioco si rifà alla magna opera della Rand, “Atlas Shrugged”. Nel romanzo infatti le più grandi menti del mondo cominciano a sparire misteriosamente, sotto le direttive e la guida di John Galt, ingegnere che, stanco delle restrizioni dello stato e della sua politica totalitaria volta a confiscare il successo dei membri produttivi della società, mette in atto il primo vero grande sciopero intellettuale per enfatizzare il concetto per il quale l’unico vero proprietario delle proprie capacità è l’individuo. Convince così le grandi menti della società non più valorizzate nella comunità collettivista a rifugiarsi in una città avanzata tecnologicamente nascosta al mondo da pannelli che riflettono la luce, lasciando nel baratro la società, ora privata della gente produttiva e degli uomini e delle donne che erano il vero motore della società. Da qui il nome “La rivolta di Atlante”, o come la definisce nel suo romanzo la Rand, la rivolta dei “prime movers”, i motori primi della società, che si ritrovano in una situazione simile a quella di Atlante nella mitologia greca, che venne condannato da Zeus a sostenere la volta celeste, così come gli scienziati, ingegneri, imprenditori e qualsiasi mente produttiva, è condannata dallo stato a sostenere con il proprio lavoro la società. Andrew Ryan é Jhon Galt, che fonda Rapture, città nascosta al mondo e popolata delle più grandi menti dell’umanità con lo scopo di creare una nuova città capitalista dove l’individuo è padrone delle sue proprietà e dove non vi sono limiti di sorta da parte di un governo invasivo per la salvaguardia di chi invece non è produttivo. Questa totale negazione dell’altruismo, in Rapture culmina nell’esistenza delle sorelline, simbolo di una utopia in realtà distopia, che condanna bambine orfane non tutelate dallo stato a diventare semplice merce nel mercato autoregolato dell’oggettivismo Randiano. L’idea economica di tale pensiero filosofico è infatti il “Laissez-faire”, letteralmente “lascia fare”, un mercato autoregolato non contaminato dallo Stato, secondo il quale l’egoistica ricerca del singolo dei propri interessi e del proprio benessere basta a garantire la prosperità economica dell’intera società, seguendo la metafora di Adam Smith della “mano invisibile” che Ryan invece chiama e definisce “la Grande Catena”. Il collasso di Rapture e la battaglia civile tra Ryan e Fontaine sono simbolo di come questo pensiero è sbagliato. Fontaine infatti dice in uno degli audiolibri: “Questi tristi idioti, vengono a Rapture pensando che saranno capitani d’industria, ma tutti dimenticano che qualcuno deve pulire i bagni”. Riferendosi a tutte le grandi menti venute a Rapture pensando di diventare finalmente ricchi senza dover condividere il proprio successo e le proprie proprietà con i bisognosi, Fontaine ricorda una cosa fondamentale: non sono, come dice la Rand, i ricchi a sostenere la società, ma sono i poveri, chi pulisce i bagni, i lavoratori, a sostenere i ricchi. La povertà non è una condizione nata perché si è pigri o stupidi, ma nasce per mancate opportunità o addirittura per disuguaglianze sociali, tant’è vero che i ricchi diventano sempre di meno e più concentrati, ereditando le ricchezze e non meritandosele, mentre i poveri diventano sempre di più. Nell’esporre i propri ideali e la grandezza di Rapture, Ryan enfatizza la deriva fortemente meritocratica della sua ideologia esponendo attraverso un preciso monologo l’abbattimento dei “limiti” del mondo esterno: “Un uomo non ha diritto sul sudore della propria fronte? No dice l’uomo di Washington, appartiene ai poveri; No dice l’uomo di Mosca, appartiene al popolo; No dice l’uomo in Vaticano, appartiene a Dio; Io rifiuto queste risposte, piuttosto scelgo qualcosa di diverso, scelgo l’impossibile, scelgo… Rapture”. Con questo monologo, che funge anche da introduzione a chi sta per raggiungere Rapture, Ryan rigetta qualsiasi forma etico-religiosa degli stati socialisti o liberali che impone di condividere o comunque di perdere parzialmente o totalmente il controllo sul proprio lavoro, che deve invece essere al servizio della società, dei poveri o di Dio. Lui rifiuta questi imposizioni e piuttosto preferisce l’impossibile, un’utopia, uno stato dove la libertà individuale ed il controllo sul proprio lavoro sono totali, senza censure, limitazioni o contaminazioni da parte dello stato o della chiesa(no Gods or Kings, only man). Tuttavia lo stesso Ryan finirà per non rispettare i suoi stessi principi quando comincia egli stesso a divenire un sovrano autoritario, che censura, che vieta incontri, che impone limiti, per mantenersi al potere, per paura di Fontaine, per la propaganda contro di lui, portando al collasso un’ideologia che in partenza risulta errata, visto che vede fallace una delle proprietà cardini dell’essere umano, l’altruismo. A cura di:Exion 22 Giugno 2023 Uomo e schiavo Spoiler⤵ Forse il più grande concetto affrontato da Bioshock è la scelta, la decisione ed il controllo che abbiamo su di essa come personaggio nel gioco e come videogiocatori. La riflessione dunque si sviluppa su 2 strati, partendo da quello più interno, il personaggio. Jack, il protagonista, non compie delle scelte, per 2 motivi. In primis Jack

Riflessioni – Shadow of the Tomb Raider

Cover del gioco Shadow of the Tomb Raider

Recensione ‧ Ix Chel e Chac Chel 2 nomi, una sola dea, simbolo di dicotomia tra vita e morte, giovinezza e vecchiaia. Chiamata anche la tessitrice, poteva simboleggiare sia la fertilità che la fine della vita. ‧ Kukulkan Il piumato dio serpente della cultura Maya, protettore dei sacerdoti, di cui si sa poco a causa di mal interpretazioni di alcuni testi. ‧ Paititi Il nascosto regno Inca, accostato spesso ad El Dorado, ma del quale non si ha alcuna prova storica della sua esistenza. Ix Chel e Chac Chel Nel gioco sono rappresentate come due facce della stessa dea con la prima, simbolo di vita e guarigione, che é rappresentata come una giovane donna associata alla luna piena e la seconda, simbolo di morte, è rappresentata da un anziana donna associata alla luna nuova. Insieme come gemelle rappresenterebbero il ciclo di vita e morte. Effettivamente, seguendo il codice di Dresda(il più antico manoscritto originariamente in lingua maya, dove il popolo trascrisse e descrisse le proprie usanze e costumi), Ix Chel è uno dei nomi della dea “O”, che ha tra le altre varianti fonetiche anche Chac Chel. Nel codice la dea è descritta come signora dell’arcobaleno o della fertilità ed è descritta sia come una madre ancora giovane, sia come una nonna anziana. In entrambi i casi la dea è legata alla fertilità, a cui i maya associavano la luna. Dunque è per questo che potrebbero corrispondere Ix Chel alla giovane madre e luna piena, simbolo di forte fertilità e Chac Chel alla vecchia nonna ed associata alla luna nuova, a simboleggiare l’ormai spenta fertilità. A rinforzare tale ipotesi vi è un altro dei tanti significati del nome di Ix Chel che è “Colei dal viso pallido” legato alla superficie della luna piena. Inoltre tra le sue raffigurazioni da anziana viene anche definita “tessitrice”, come colei che taglia i fili della vita una volta terminata. Dunque la dea è sia identificata nella vita, con il connubio alla fertilità, sia alla morte con il suo nome tessitrice, ma anche legato al termine “dea dell’arcobaleno”, in quanto per i maya il fenomeno ottico non era un buon presagio. Ix Chel, Chac Chel oppure O, sono dunque raffigurazioni di una stessa dea, legata alla vita, alla fertilità, alla luna, al parto, alla morte, alla tessitura e talvolta alla medicina e alla pioggia. A cura di:Exion 22 Giugno 2023 Kukulkan “Eidos Montreal” e “Crystal Dynamics” si sono presi diverse libertà nella rappresentazione di questo dio. Kukulkan è infatti un dio della mitologia Maya e non Inca, inoltre non è il dio della creazione e della distruzione come detto in “Shadow of the Tomb Raider”. Secondo il codice di Dresda Kukulkan è un dio serpente, il suo nome significa infatti serpente piumato. Era la divinità protettrice dei sacerdoti, ma riguardo a questa divinità si sa poco a causa di confusioni in delle trascrizioni che parlano di un uomo dallo stesso nome del dio. Tuttavia è certo che Kukulkan sia strettamente imparentato con la divinità aztecha Quetzalcoatl, anch’egli serpente piumato e considerato dagli aztechi dio del vento, dell’alba e della conoscenza. Entrambi gli dei, nella loro forma umana venivano descritti in maniera molto simile, barbuti e soprattutto dalle pelle chiara, tanto che Quetzalcoatl venne definito anche “Dio Bianco”. Seguendo questi parallelismi, il corrispondente Inca sarebe Viracoča, dio creatore di tutte le cose, similmente descritto a Quetzalcoatl e Kukulkan. A cura di:Exion 22 Giugno 2023 Paititi Si pensa sia un leggendario regno Inca o pre-inca perduto, esistito ad est delle Ande, nascosto nella foresta pluviale del Perù. Nel 2001 l’archeologo italiano Mario Polia scopre il resoconto del missionario gesuita Andres Lopez, negli archivi gesuiti di Roma, risalente al 1600. Nel testo Lopez descrive una grande città ricca d’oro, argento e gioielli, situata in mezzo alla giungla tropicale nei pressi di una cascata e chiamata dai nativi Paititi. Il testo fu anche presentato al Papa. L’affidabilità del rapporto di Lopez è però molto bassa, in quanto lo stesso Lopez non ha raggiunto egli stesso Paititi ma ne ha solamente sentito parlare dai nativi. Il mito della città Inca perduta rimane e potrebbe essere assimilato alla leggendaria El Dorado, dal nome spagnolo usato dai conquistadores per identificare un re del popolo Muisca che in uno dei suoi rituali si cospargeva il corpo di polvere d’oro, il nome infatti in spagnolo è “El indio Dorado” traducibile come l’uomo d’oro. Col tempo la leggenda passò da essere uomo a città, a regno, ad impero, tanto da spingere numerose spedizioni alla ricerca di tale luogo. Essendo El Dorado non propriamente il nome del luogo ma il nome datogli dagli spagnoli, questo poteva essere una qualsiasi delle città delle culture precolombiane, potendosi quindi avvicinare a Paititi. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Rise of the Tomb Raider

Cover del gioco Rise of the Tomb Raider

Recensione ‧ Kitež e Koščej l’immortale Leggende di origine russa che coinvolgono una città, chiamata addirittura Atlantide russa, e un personaggio immaginario del folklore slavo. Kitež e Koščej l’immortale “Crystal Dynamics” nella realizzazione della sua storia e del background narrativo ha romanzato 2 principali leggende russe, modificandone in bella parte storia e contesto ma mantenendo però lo spirito e il simbolismo dietro ciascuna. La prima riguarda ovviamente la leggendaria Kitež, città messianica nella regione di “Nižnij Novgorod” sulle rive del lago Svetloyar. Fu menzionata per la prima volta nella “Cronaca di Kitež”, documento anonimo del 1700 probabilmente creato tra i Beguny(o corridori) ossia coloro conosciuti come i Veri Cristiani Ortodossi Peregrinanti, una comunità tra i Vecchi Credenti che si opposero alle scelte della gerarchia ortodossa del paese, che decisero di “ammorbidire” l’opposizione al potere laico acconsentendo ad alcune cerimonie e riti. La leggenda narra che il principe Jurij II di Vladimir fece costruire sul fiume Volga la città di Malyj Kitež(piccola Kitež), successivamente il principe attraversò i fiumi Uzola, Sanda e Kerženec per poi giungere al fiume Svetloyar, un meraviglioso luogo dove decise di fondare Bol’šoj Kitež(grande Kitež). A renderla leggendaria ed attribuirgli addirittura il nome di “Atlantide russa” è la seguente storia: Dopo la conquista di diversi principati russi, il capo mongolo Batu Khan si diresse a Kitež dopo averne sentito parlare, per prenderla. Dapprima i mongoli presero Malyj Kitež, costringendo Jurij a ritirarsi nei pressi di Bol’šoj Kitež e facendosi rivelare da un prigioniero la via per la Grande Kitež. L’Orda d’Oro raggiunse dunque le mura della città ma qui con sorpresa scoprirono che la città non aveva fortificazioni ed i suoi cittadini non intendevano neanche difendersi, piuttosto erano impegnati in preghiere e richieste d’aiuto a Dio. Alla visto di ciò i mongoli non ci pensarono due volte ad attaccare ma dovettero fermarsi subito. Improvvisamente la città si circondò d’acqua e cominciò a sprofondare. L’ultima cosa che videro gli invasori fu la croce sulla grossa cupola della cattedrale della città. Questa leggenda ha dato origine alla credenza secondo il quale solo i puri di cuore troveranno la strada per Kitež e che se si ascolta bene, è possibile udire i canti del popolo di Kitež sotto il lago Svetloyar. L’altra leggenda legata invece alla sorgente divina nel gioco è Koščej l’immortale. Nel folklore slavo Koščej è un personaggio malvagio che nelle storie spesso assume il ruolo di rivale del protagonista che compete per una donna. Particolarità del personaggio è l’incantesimo che lo rende immortale, egli nasconde la sua anima in diversi oggetti nidificati, che devono essere prima distrutti per poterlo uccidere. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Tomb Raider(2013)

Cover del gioco Tomb Raider 2013

Recensione ‧ Yamatai ed Himiko L’isola di Yamatai e la sacerdotessa Himiko sono citate in alcuni testi giapponesi e cinesi, senza mai rivelarsi degli argomenti approfonditi ed anzi riscontrando alcune forzature nella ricerca di collegamenti, come Yamatai-Yamato. Elementi ooportunamenti presi dal team di sviluppo per costruire la loro storia. ‧ Una nuova Lara Dall’intrepida, sfrontata, aristocratica e letale della serie originale, ad una nuova versione più umana, spaventata ed inesperta, che regala un tipo di narrazione più matura ed una migliore evoluzione del personaggio. Yamatai ed Himiko Yamatai-koku è il nome sino-giapponese di un antico paese a Wa del III secolo dopo Cristo. Nel testo cinese “Le Cronache dei Tre Regni” si parla del luogo come il dominio della regina-sacerdotessa Himiko. Tanti storici, linguisti ed archeologici giapponesi hanno discusso e mai accertato la locazione effettiva di Yamatai e se fosse collegata in qualche modo alla provincia di Yamato. La prima apparizione nei testi cinesi di Yamatai si ha nella raccolta delle “Ventiquattro Storie” in particolare nel 10° libro, il Wei Shu, appartenente alle “Cronache dei Tre Regni”, dove viene nominato per la prima volta il paese di Yamatai. Nei testi giapponesi invece, la prima “trascrizione fonetica” di Yamatai come Yamato la si ha nel “Kojiki”, dove si parla della nascita di Ōyashima(Otto Grandi Isole) da parte del dio Izanagi e la dea Izanami, ovvero il Giappone. Gli dei diedero alla luce le otto grandi isole e per ultima crearono appunto Yamato. La differenza nel nome potrebbe risalire all’utilizzo del Man’yōgana nei primi testi scritti giapponesi, ovvero un sistema di scrittura che impiegava i caratteri cinesi per rappresentare “foneticamente” la lingua giapponese, esulando il loro significo ma considerando quindi solo il loro suono. Per quanto “Crystal Dynamics” si sia presa le sue libertà nella creazione del mito, va detto che le basi seguono fortemente la realtà storica dei fatti. Himiko infatti era considerata davvero una regina-sacerdotessa che soggiogava il popolo con stregonerie, apparteneva al culto del sole(Himiko può essere tradotto come “figlia del sole”) ed aveva imposto nel suo regno una specie di matriarcato. Era infatti circondata da molte ancelle e solo un uomo, una guardia pretoriana, che faceva rispettare le sue leggi e che guidava le guardie armate in difesa del suo castello. Tra le fonti cinesi risale inoltre l’evento secondo il quale, alla morte di Himiko, venne messo un re sul suo trono ma il popolo non gli obbedì. Seguirono quindi scontri ed omicidi finché non fu posta una parente di Himiko, Iyo, con il quale l’ordine fu ristabilito. Tutto ciò si ricollega a molti degli avvenimenti nel gioco seppur opportunatamente edulcorati dal team. A cura di:Exion 22 Giugno 2023 Una nuova Lara Questo reboot vede come protagonista una Lara molto diversa dall’originale. La nuova Lara è inesperta, spaventata e giovane. Una Lara molto più umanizzata, portata comunque a reggere il peso del suo nome. Lara è infatti stata figura di rilievo nel mondo videoludico, divenendo sì un sex symbol ma al contempo pioniere della lotta al sessismo e portavoce videoludica dell’emancipazione femminile. Questa nuova Lara è meno provocante delle passate versioni ma non smette, in una forma addirittura più matura, di essere il simbolo che era, anzi adesso molto meno votato alla sessualizzazione ma piuttosto al valore intrinseco che una donna può avere al dispetto della concezione femminile che almeno fino agli anni 90 si aveva della donna. La nuova Lara in questo capitolo la vediamo spesso tremante, spaventata, dolorante, piangente, in una forma insomma più debole per come la conoscevamo. Ma quello che il titolo offre è la maturazione di un personaggio, la crescita attraverso questa avventura di una donna forte, che già dimostra di esserlo durante tutti i momenti in cui la vediamo dolorante o spaventata, perché va comunque avanti, si rialza, supera la paura e affronta il pericolo. Gli allarmisti tuttavia non mancano e non stupiscono più di tanto le accuse di un possibile tentato stupro in una scena durate la presentazione del gioco al’E3. La scena, che comunque non presenta alcuna violenza sessuale, è si molto allarmante e può indurre a pensare ad un tale esito, ma lo scopo principale della scena è quello di enfatizzare il fatto che Lara, per la prima volta nella sua vita, sia costretta ad uccidere un uomo. Il momento genera panico e rabbia sia nella protagonista che nel giocatore, la scena DEVE risultare fastidiosa, fondendosi alla certezza che l’uomo vuole ucciderla. Tutto ciò enfatizza il momento drammatico che Lara deve affrontare e affronterà. Il quick time event infatti rivela una Lara che reagisce alle azioni dell’uomo e si libera dalle sue grinfie, prendendo la pistola per poi infine sparare prima che lui la uccida. La mancanza di informazioni dei giornalisti, mista anche ad un certo grado di ignoranza, che non verificano prima l’esistenza di un contesto narrativo per il quale stia avvenendo un determinato evento, genera questo tipo di accuse. La lead writer di “Tomb Raider” Rhianna Pratchett, nel mostrare disappunto per l’evento, ha spiegato che in quella scena, anche per delineare una certa differenza con la Lara del passato, non c’è alcuna scappatoia da duri, quella scena succede e basta, e lei deve farsene un’idea. Da tenere conto poi che Lara dopo l’evento non pensa “stavo per essere stuprata” ma piuttosto “ho ucciso una persona”; ricordiamo infatti che nella scena il colpo di pistola avviene a pochi centimetri dalla sua faccia e prende in testa l’uomo, scena che sfido chiunque a non essere traumatica. Dopotutto l’evento è volto ad instillare nel giocatore o nella giocatrice l’istinto di proteggere Lara ed immedesimarsi nella rabbia e paura provati dalla protagonista. Inoltre la contestualizzazione riguarda anche l’uomo, in quanto per tutto il gioco non sembrano esserci donne nell’isola e un tale atto in preda a follia e totale mancanza di ragione potrebbe essere possibile. Questo risponde anche a chi dovesse fare la stupida domanda: questa scena ci sarebbe stata lo stesso se il protagonista fosse stato maschio? Bè tralasciando il fatto che è una domanda idiota da porre, visto

Riflessioni – Tomb Raider: Underworld

Cover del gioco Tomb Raider Underworld

Recensione ‧ L’oltretomba attraverso le civiltà Quando civilità lontane e diverse, sembrano seguire un filo conduttore comune, presentando similituine nella rappresentazione o nella narrazione di eventi diversi, ma al tempo stesso così simili. ‧ Thor e Ragnarǫk Il mitico dio nordico, accompagnato dalla sua iconica arma, e la fine del mondo in una visione scandinava, che vanno ad impreziosire l’affascinante mitologia norrena. L’oltretomba attraverso le civiltà In “Tomb Raider: Underworld” Lara si ritrova davanti a diverse versioni dell’aldilà modellati dalla cultura di diverse civilità. Avalon è l’oltretomba bretone legato al mito di Re Artù. Il nome significherebbe “isola delle mele” ed è possibile che sia legato alle leggende irlandesi dell’oltremondo celtico. Nella tradizione druidica la mela è infatti strettamente connessa all’Altro Mondo. Avalon è inoltre ricordata per essere il luogo dove riposa Re Artù e dove fu forgiata Excalibur. Molti riconducono questo luogo a Glastonbury Tor, una collina nei pressi di Glastonbury che in origine era circondata dall’acqua, proprio come un’isola. Bhogavati invece è la capitale sotterranea dei Nāga(semi-dei mezzi uomini mezzi rettile della mitologia induista e buddista), che si trova nella parte più bassa del Patala, un insieme di regni sotterranei descritti nel “Vishnu Purana” ed assimilabile agli inferi, inaspettatamente considerato un luogo più bello di Svarga, riconducibile al paradiso. Xibalba invece è l’oltretomba governato dagli spiriti della malattia e della morte della mitologia Maya K’iche’. Traducibile come luogo dell’orrore, è assimilabile agli inferi e la più nota porta d’ingresso per tale mondo secondo i Maya era una grotta nelle vicinanze di Cobán in Guatemala. In alcune aree Maya si pensava anche che la Via Lattea fosse la strada per Xibalba. Tale luogo è descritto nel “Popol Vuh” e sembra diviso in molte aree, piene di trappole e test per i visitatori. La più importante area era quella del Consiglio dei Signori, dei della morte che governavano Xibalba. Infine Hel(o Helheimr) uno dei nove mondi della cosmologia scandinava, è la dimora dei morti e regno governato da Hel(o Hela) figlia di Loki. Assimilabile agli inferi, spesso Hel viene affiancato o addirittura si sovrappone a Nifheimr, terra della nebbia e del ghiaccio della mitologia norrena. Purtroppo nelle mitologie nordiche sono molte le incongruenze che rendono poco chiara la struttura reale dei vari mondi. Questo ha però permesso più volte in testi letterari, cinema ed in questo caso videogiochi, di modellare con più facilità e personalità la mitologia nordica senza rovinarne il fascino. A cura di:Exion 22 Giugno 2023 Thor e Ragnarǫk Considerato uno dei più famosi dei nordici ed anche uno dei più amati e venerati al tempo delle divinità germaniche, Thor è il dio del tuono e delle tempeste, figlio di Odino e Jǫrð. Secondo la mitologia, dimora ad Asgard ed è considerato il più vicino al concetto di “dio degli uomini”, motivo per il quale era addirittura più amato di Odino dagli scandinavi. Nell’ “Edda di Snorri”, Thor è in possesso di tre beni magici cruciali: i Járngreipr, ossia i guanti in ferro necessari per brandire il martello per il suo manico modificato, reso più corto a causa di un inganno di Loki; Megingjörð, ossia la cintura che raddoppiava la forza del dio; Mjöllnir, ovvero il leggendario martello realizzato dal nano Sindri dall’immensa potenza e simbolicamente associato al lampo. Secondo la mitologia, Thor combatterà con Miðgarðsormr durante il Ragnarǫk, uccidendolo ma rimettendoci anch’egli la vita. Nel mito Ragnarǫk è la battaglia finale tra bene e male in seguito al quale il mondo sarà distrutto e rigenerato. Il suo svolgimento è incerto e tra le creature a parteciparvi vi è appunto Miðgarðsormr, un serpente gargantuesco talmente lungo da poter avvolgere l’intero mondo nella sua stretta, il suo nome infatti significa serpe di Miðgarðr, nome nordico usato per indicare la Terra. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Tomb Raider: Anniversary

Cover del gioco Tomb Raider: Anniversary

Recensione ‧ Atlantide La mitologica città perduta, mito creato dal Platone o storia vera? Sia in epoca classica che in quella moderna, ci si é interrogati sulla reale esistenza o meno di questa incredibile civiltà, che sembra aver influenzato diverse menti di scrittori, filosofi e politici. Atlantide In Tomb Raider il manufatto, lo Scion, è legato ad Atlantide, la leggendaria isola oltre le colonne d’Ercole, civiltà perduta e sprofondata negli oceani. Il primo a parlarne fu Platone nei suoi “Dialoghi”, dove descrive una città continente nella quale arte, tecnologia, scienza, cultura sono talmente evolute da avere un che di divino, ma a causa dell’incauto utilizzo del suo potere perì. Anche Tacito ne parla negli “Annales”, facendo riferimento ad un popolo costretto alla migrazione poiché la sua città fu distrutta in una sola notte da violentissimi terremoti. I superstiti si pensa avessero influenzato varie parti del mondo dove migrarono, come Aztechi, Maya o Egitto. In particolare le strutture geometricamente complesse di quest’ultimo. Ancora oggi vi sono più ipotesi che certezze su come l’antico popolo egizio sviluppò architetture come le piramidi. Inoltre vari geroglifici rappresentano veicoli volanti, sottomarini e tecnologie troppo avanzate per l’epoca, tecnologie però supposte nella società atlantica. Ironicamente, nel ‘900, un famoso scrittore nato proprio ad Alessandria d’Egitto, viene a conoscenza di una leggenda egiziana riguardo una misteriosa città-porto sepolta in fondo al mare che ispira un suo famoso poema, “Porto sepolto” poi rinominato “Allegria di naufragi”. Questo scrittore era Giuseppe Ungaretti e per lui quel porto sepolto rappresentava l’essenza della poesia. Il mito di Atlantide, inaspettatamente si estende su diversi campi ed ere. Ungaretti, Platone, Tacito, ma anche in tempi moderni ha fatto capolino. Proprio da Tacito viene usato un termine nell’opera “Germania” che, secondo un mito, viene mal interpretato da un famoso personaggio storico, appassionato di mitologia ed esoterismo, Adolf Hitler. La parola in particolare è “tamquam” usata da Tacito con valore limitativo indicando che quel popolo era tutto uguale per quanto fosse possibile in un numero così alto di persone. Mentre i nazisti lo hanno inteso con valore concessivo, strumentalizzando il testo di Tacito per promuovere la filosofia di una razza selezionata e perfetta, la razza ariana. Hitler, vicino all’ esoterismo, come dimostrano alcuni suoi racconti e poesie esoteriche, ha seguito degli studi sull’antropologia esoterica(una pseudoscienza non riconosciuta) che parla dell’evoluzione dell’uomo attraverso le 7 razze-radici. La quinta, alla quale apparteniamo, è appunto quella ariana che discende dalla quarta, quella atlantica. Il Führer era talmente coinvolto in questa teoria che formò addirittura unità specifiche per cercare il continente perduto. Nulla ufficialmente è stato trovato, ma alcune mappe tedesche parlavano di un “regno sotterraneo”, Agharti, dove i pochi superstiti di Atlantide si stabilirono. Nulla di tutto questo è ovviamente confermato o attendibile, ma è affascinante notare come il mito di Atlantide sia pervenuto e cambiato nel corso dei secoli e che abbia lasciato così tante tracce seppur poco chiare e non definibili o passabili per ufficiali. Miti e leggende nascondo sempre un fondo di verità, quale sarà quello di Atlantide? Nei vari riferimenti alla città si parla di tecnologie evolute al servizio dello sfruttamento energetico e del perfezionamento dell’uomo, ad architetture complesse e magistrali, altri ancora ipotizzano un popolo già capace di sfruttare le onde elettromagnetiche per le comunicazioni. Forse per questo Platone pone Atlantide al di là delle Colonne d’Ercole, simbolo dei limiti e delle conoscenze umane, perché quel popolo li aveva superati.   A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Tomb Raider: Legend

Cover del gioco Tomb Raider: Legend

Recensione ‧ Re Artù ed Excalibur 2 componenti di un unico mito, Artù e la sua spada sono una delle leggende più famose e conosciute della storia, fin dalla sua nascita nel medioevo. Re Artù ed Excalibur Spoiler⤵ Quella di Re Artù è tra le leggende medievali più diffuse e famose della storia ed è stata influente nella creazione di odierni personaggi del genere fantasy. Per quanto la sua realtà storica tra i primi riferimenti bretoni e gallesi sia ancora oggetto di dibattito, con “Historia Regum Britanniae” di Goffredo di Monmouth, Artù divenne un vero e proprio personaggio letterario e figura ricorrente nel folklore bretone, poi allargatosi in tutta Europa. Famosi sono tutti gli elementi parte della sua storia come i personaggi di Merlino, Ginevra o Uther, ed ancora di più la simbolica tavola rotonda (espediente usato spesso in Europa per rendere tutti i partecipanti di equal grado in quanto non ci fosse un capotavola) e la leggendaria Excalibur, la parte del mito più vicina alla narrazione del gioco. In “Tomb Raider: Legend” infatti l’estrazione della spada da un altare da parte di un grande Re è la coincidenza che accomuna il mito di Artù con le rovine trovate da Lara e la madre. Nella versione di Goffredo della leggenda arturiana Artù non estrasse la spada dalla roccia, elemento introdotto da Robert de Boron ne “Merlino”, ma essa fu piuttosto forgiata nell’isola di Avalon, considerato l’accesso o la sede dell’Altro Mondo. E’ qui che miti, leggende, storia e videogioco si uniscono. Lara deve usare una spada in un altare per aprire un passaggio nell’altro mondo. Per quanto edulcorato e modificato, è interessante la manipolazione delle fonti da parte di “Crystal Dynamics” per creare delle coincidenze con altre culture della leggenda di Artù e le leggere modifiche apportate al mito. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Tomb Raider: Angel of Darkness

Cover del gioco Tomb Raider: Angel of Darkness

Recensione ‧ Nefilim Ibridi nati dall’unione di angeli e uomini, giganti, atlantidei, precursori dell’umanità. Tante teorie e poche certezze sull’esistenza o meno di queste mitologiche creature. Nefilim Nell Antico Testamento ci si riferisce ai Nefilim come un popolo di giganti esistito al tempo degli ibridi nati dai figli di Dio e dalle figlie degli uomini. Tra le varie interpretazioni date a queste creature, le si definiscono esseri umani nati da angeli caduti e uomini e che Dio, per ripulire la Terra da questi esseri, lanciò il diluvio universale. Un altra ipotesi li definisce discendenti di Set e Caino. Altre ipotesi, non cristiane, riconducono i Nefilim al popolo di Atlantide o ancora ad ibridi figli di Homo Sapiens e Neanderthal. Esiste inoltre la teoria del paleocontatto di Sitchin e Von Daniken. Questa teoria sostiene che i nefilim siano i nostri antenati, una razza superiore o addirittura aliena e che noi siamo stati creati da loro attraverso l’ingegneria genetica. Comunque la si guardi, la creatura chiamata nefilim è comunemente vista come l’unione di un essere superiore con uno inferiore, solitamente un angelo ed un essere umano. Altre volte simboleggia un ibrido tra due esseri potenzialmente contrapposti o diversi e nelle teorie d’archeologia misteriosa, sono visti come i precursori dell’umanità. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Tomb Raider: Chronicles

Cover del gioco Tomb Raider: Chronicles

Recensione ‧ La Pietra Filosofale La pietra filosofale é forse la più grande leggenda dell’ambito alchemico-esoterico, e al tempo stesso la più grande fantasia umana, in quanto racchiude le tre cose che l’uomo più di ogni altro ambisce ad avere nella vita, ossia tempo, conoscenza e denaro.  ‧ La Lancia del Destino La lancia che trafisse il costato di Cristo e che si impregnò del suo sangue. Molte sono state le reliquie identificate come tale lancia, ma nessuna prova esiste per la conferma di nessuna di esse. Una sola, secondo tradizione cristiana, sembra essere la più vicina. La Pietra Filosofale Le vere origini del mito di questa pietra sono incerti. Le prime menzioni a riguardo risalgono al 300 d.C. nel “Cheirokmeta” di Zosimo di Panopoli, alchimista egizio. Alcuni scritti come il “Gloria Mundi”, sostengono che la pietra risalga addiritura ad Adamo, donatagli da Dio. Nel Medioevo a parlarne propriamente per primo fu l’alchimista musulmano Jabir ibn Hayyan che analizzando i quattro elementi aristotelici(fuoco, acqua, terra, aria) dedusse le 4 qualità base(caldo, freddo, secco, umido) e che ogni metallo non fosse altro che una combinazione di questi 4 principi in quantità variabili, teorizzando infine che l’oro, il metallo più perfetto, fosse la sintesi armonica di tutti e quattro i principi. Da qui il primo e più desiderato delle tre proprietà della pietra filosofale, la tramutazione di qualsiasi metallo in oro. Le altre proprietà sono l’effetto panacea per qualsiasi malattia o in alcuni casi l’immortalità e l’onniscienza assoluta, del bene e del male, del passato e del futuro. La pietra filosofale è il risultato a cui tutti gli alchimisti ambivano, la così detta “Magnum Opus”, la grande opera, e la sua realizzazione doveva avvenire attraverso 4 fasi, ognuna associata ad uno degli elementi aristotelici: Nigredo associato alla terra, fase della putrefazione e decomposizione in cui si lasciano “morire” tutti gli ingredienti alchemici cuocendoli in un unica massa uniforme nera; Albedo associato all’acqua, fase della purificazione della massa informe scaturita dalla prima fase passando dal nero informe al bianco puro; Citrinitas associato all’aria, ed è il passaggio dall’argento all’oro, dal bianco al giallo; Rubedo associato al fuoco e traducibile come arrossamento, è l’ultima fase che porta alla realizzazione della pietra filosofale. A cura di:Exion 22 Giugno 2023 La Lancia del Destino Chiamata anche la Lancia di Longino, dal soldato romano che la imbracciava, Loghinos. Durante le crocifissioni i soldati erano soliti praticare il crurifragium, ossia la rottura delle gambe del condannato per accelerarne la morte. Tuttavia durante la crocifissione di Gesù, i soldati intenti a praticare il crurifragium si accorsero che era già morto e che dunque non era necessario rompergli le gambe. Tuttavia per accertarsi della sua morte, il soldato Loghinos trafisse il costato di Gesù con la sua lancia, e come scritto nel Vangelo secondo Giovanni 19, 33-34: “…uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.” Il nome del soldato è citato nel Vangelo di Nicodemo e nella miniatura dei Vangeli Rabbula. I primi riferimenti alla lancia come reliquia risalgono però al 570, dove nei “Itinerarium Antonini”, si descrivono i luoghi sacri di Gerusalemme tra cui la basilica del monte Sion, che custodisce la corona di spine e la lancia. Sono diverse nel mondo le reliquie identificate come la Lancia del Destino, come per esempio la Lancia di Antiochia del 1098, ritrovata durante l’assedio della città, oppure la Lancia di Vagharshapat, custodita nell’omonima città armena, o ancora la Lancia Papale, custodita nella Basilica di San Pietro ma di cui la chiesa non riconosce l’autenticità. Queste sono le più plausibili, mentre altre sono state considerate per breve tempo altrettanto valide nel medioevo. La reliquia però attualmente riconosciuta come più vicina alla Lancia del Destino, é la Lancia Sacra, custodita attualmente all’Hofburg di Vienna. Questa reliquia, forse tra i simboli più importanti del Sacro Romano Impero della dinastia carolingia, sembra essere la più vicina per una particolarità della punta della lancia. Questa infatti possiede un sottile pezzo di ferro incastonato all’interno, che secondo la tradizione é uno dei sacri chiodi della crocifissione di Cristo. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Tomb Raider: The Last Revelation

Cover del gioco Tomb Raider: The Last Revelation

Recensione ‧ L’Amuleto di Horus L’occhio di Horus é il simbolo più comune dell’antica civiltà egizia, con significato di protezione e/o rivitalizzazione, usato porporio per questo, in gran parte delle tombe e sarcofagi funerari. Questo capitolo di Tomb Raider sembra rifarsi a questo elemento della mitologia egizia. L’Amuleto di Horus L’amuleto di cui si parla nel gioco, seppur esteticamente diverso, potrebbe far riferimento all’ Occhio di Horus. Partiamo però dalle fondamenta. Nel gioco, ad applicare l’amuleto come sigillo su Seth è il sacerdote Semerketh. Nella storia egiziana Semerketh era il nome di un faraone della prima dinastia che divenne famoso principalmente per la profezia dello storico e sacerdote Manetone, che profetizzo una tragica calamità durante il regno del faraone. Il sovrano inoltre aveva nel serekht(una specie di stemma utilizzato in Egitto per indicare i sovrani) un simbolo che è traducibile come “compagno della comunità divina”. Non sembra dunque così strano l’utilizzo del nome Semerketh per il sacerdote, che si ricollega alla comunità divina e alla profetizzata catastrofe di Manetone, visto i disastri letti da Lara alla rimozione dell’amuleto dalla statua di Seth. Adesso invece analizziamo: perché Horus? Il dio è tra le divinità più venerate del pantheon egizio con diverse forme e titoli che è difficile definirne un unico ruolo: dio del sole, dell’orizzonte, della natura, dio protettore, dio unificatore… sono tanti i nomi affibiatogli, ma veniva sempre raffigurato con sembianze di falco e venerato al pari di Ra, tanto che a seguito di un sincretismo(processo che unifica per esigenze pratiche due ideologie differenti) i due dei vennero fusi nel l’unico dio Ra-Horakhti. Nella mitologia egizia, Horus era figlio del mitico Osiride e nipote di Seth dio del caos. Secondo il mito Seth uccise il fratello Osiride, e Horus, per vendicarsi, entrò in conflitto con lo zio, riuscendo a vincerlo ma perdendo un occhio nello scontro. Ecco quindi spiegato l’utilizzo della divinità Horus per sigillare Seth, vista la loro rivalità, ed ecco spiegato perché l’amuleto possa essere l’Occhio di Horus, visto infatti nella civiltà egizia come simbolo di protezione. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Tomb Raider III: Adventure of Lara Croft

Cover del gioco Tomb Raider III. Adventures of Lara Croft

Recensione ‧ Lara Croft > Tomb Raider La filosofia di Andrew Ryan come caricatura e rappresentazione dell’oggettivismo di Ayn Rand. Le similitudini si sprecano nel confronto tra i lavori della scrittrice e il mondo di “Bioshock”, in un interessante riflessione sui parallelismi riscontrati nei concetti e nelle filosofie, culminanti nella frase “No Gods or Kings, only Man”. Lara Croft > Tomb Raider Il personaggio di Lara era talmente esploso da ritrovarsi non solo come personaggio simbolo del videogioco ma vera e propria icona pop, sfociando in tanti altri media. La figura di Lara aveva invaso musica, riviste, giornali, TV, fiere e veniva presa per innumerevoli promozioni e pubblicità. Eidos aveva pensato anche di personificare il personaggio in varie modelle a fini promozionali. A spingere le vendite infatti non era solo il gioco in sé, che per i primi due vantava ottime qualità, ma anche e soprattutto il personaggio di Lara. Eidos se ne accorse e sfruttò la protagonista ai limiti del possibile, spremendo il franchise, sminuendo il simbolismo di cui si era fatto carico il personaggio e non curandosi più dell’effettiva qualità e delle richieste del team di sviluppo, ma piuttosto suddividendolo in più gruppi per poter lavorare a più giochi e poter pubblicare un titolo all’anno. Se da un lato Lara era nata come simbolo di emancipazione femminile e sex symbol, dal terzo capitolo in poi la compagnia ha cominciato a spingere eccessivamente su quest’ultimo versante, saturando qualsiasi media con la prorompente sessualità della bella archeologa. Ciò ha portato ad un evidente calo di qualità dei giochi, cosa che il pubblico ovviamente ha notato, tanto che da qui si può intravedere l’inizio del declino del franchise, ma al contempo ha incrementato non di poco i guadagni della compagnia, con vendite dei singoli titoli sempre alte nonostante il perpetuo calo di qualità. Tuttavia Lara non ha mai perso fascino. Il personaggio sembra totalmente distaccato dalla saga, portando i giocatori a criticare aspramente certi titoli della serie ed addirittura allontanarsi dalla saga, ma mantenendo positiva la figura della Croft, un bel ricordo, un elemento che non prescinde dal gioco. Non a caso il terzo capitolo, che ricevette critiche contrastanti, vendette comunque più di 6 milioni di copie, vuoi per la sovrappopolazione della protagonista in tutti i media, vuoi per i rumor di un possibile film o semplicemente perché i giocatori avrebbero nuovamente potuto seguire una nuova avventura dell’icona videoludica che Lara Croft era diventata. L’archeologa è un ottimo esempio di strumentalizzazione ed oggettificazione apportata da Eidos Interactive sul personaggio di Lara Croft, denotando non solo una mancanza di rispetto verso il creatore Toby Gard, che fin da subito non ha accettato la strumentalizzazione eccessiva sul suo personaggio, ma anche una chiara mal gestione marketing dovuta all’euforia del successo e del potenziale che la compagnia aveva in mano e, soprattutto, una totale mancanza di rispetto verso le donne e il tentativo di demolizione della concezione stereotipata dei personaggi femminili nei media, non sol nei videogiochi. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Tomb Raider II

Cover del gioco Tomb Raider II

Recensione ‧ Il pugnale di Xian La filosofia di Andrew Ryan come caricatura e rappresentazione dell’oggettivismo di Ayn Rand. Le similitudini si sprecano nel confronto tra i lavori della scrittrice e il mondo di “Bioshock”, in un interessante riflessione sui parallelismi riscontrati nei concetti e nelle filosofie, culminanti nella frase “No Gods or Kings, only Man”. Il pugnale di Xian L’oggetto mistico che Lara deve ritrovare sembra del tutto inventato dagli sviluppatori, tuttavia dal nome e dal contesto se ne potrebbe ricavare un fondo di verità. Inizialmente si potrebbe pensare che Xian si riferisca appunto alla città di Xi’an, una delle 4 grandi capitali della storia cinese e famosa al mondo esterno in particolare per l’esercito di terracotta, un immenso numero di statue tra 8000 guerrieri e più di 100 cavalli, un esercito simbolico che avrebbe dovuto servire l’imperatore cinese Qin Shi Huang nell’oltretomba. Tuttavia seguendo il contesto di gioco secondo il quale, nella storia ideata da “Core Design”, il pugnale donasse la capacità di trasformarsi in drago, avrebbe senso pensare non a Xi’an bensì proprio alla parola Xian, che in molti contesti filosofici, religiosi o mitologici cinesi e taoisti vedono nella parola il significato di immortalità o comunque longevità, tipica dei draghi. Inoltre con il termine xian si identificano gli Otto Immortali, personaggi trascendentali venerati dai taoisti che celavano la loro natura tramutandosi in altre creature, come fa il pugnale a chi se lo conficca nel petto. Inoltre, uno dei luoghi visitati da Lara nel gioco è un livello chiamato “isole galleggianti”, uno dei nomi con il quale si chiama il posto in cui si pensa risiedano gli xian, una dimensione mistica chiamata anche isole mistiche o grotte celesti. Non ci sono miti o leggende riguardanti un pugnale di Xian, ma certo è che la storia di “Core Design” ha diversi legami con miti, leggende e mitologie cinesi che rendono “plausibile” il loro manufatto. A cura di:Exion 22 Giugno 2023

Riflessioni – Tomb Raider

Cover Tomb Raider I

Recensione ‧ Atlantide La mitologica città perduta, mito creato dal Platone o storia vera? Sia in epoca classica che in quella moderna, ci si é interrogati sulla reale esistenza o meno di questa incredibile civiltà, che sembra aver influenzato diverse menti di scrittori, filosofi e politici. ‧ La rappresentazione femminile nei videogiochi Oggettificazione e sessismo, figli dei loro tempi, che hanno sicuramente riempito la scena cinematografica ed anche videoludica. Lara Croft é stata una sorta di riscatto, un nuovo modo di rappresentare la donna, anche se pure questo personaggio ha visto l’ombra dello sfruttamento ai fini marketing. Atlantide In Tomb Raider il manufatto, lo Scion, è legato ad Atlantide, la leggendaria isola oltre le colonne d’Ercole, civiltà perduta e sprofondata negli oceani. Il primo a parlarne fu Platone nei suoi “Dialoghi”, dove descrive una città continente nella quale arte, tecnologia, scienza, cultura sono talmente evolute da avere un che di divino, ma a causa dell’incauto utilizzo del suo potere perì. Anche Tacito ne parla negli “Annales”, facendo riferimento ad un popolo costretto alla migrazione poiché la sua città fu distrutta in una sola notte da violentissimi terremoti. I superstiti si pensa avessero influenzato varie parti del mondo dove migrarono, come Aztechi, Maya o Egitto. In particolare le strutture geometricamente complesse di quest’ultimo. Ancora oggi vi sono più ipotesi che certezze su come l’antico popolo egizio sviluppò architetture come le piramidi. Inoltre vari geroglifici rappresentano veicoli volanti, sottomarini e tecnologie troppo avanzate per l’epoca, tecnologie però supposte nella società atlantica. Ironicamente, nel ‘900, un famoso scrittore nato proprio ad Alessandria d’Egitto, viene a conoscenza di una leggenda egiziana riguardo una misteriosa città-porto sepolta in fondo al mare che ispira un suo famoso poema, “Porto sepolto” poi rinominato “Allegria di naufragi”. Questo scrittore era Giuseppe Ungaretti e per lui quel porto sepolto rappresentava l’essenza della poesia. Il mito di Atlantide, inaspettatamente si estende su diversi campi ed ere. Ungaretti, Platone, Tacito, ma anche in tempi moderni ha fatto capolino. Proprio da Tacito viene usato un termine nell’opera “Germania” che, secondo un mito, viene mal interpretato da un famoso personaggio storico, appassionato di mitologia ed esoterismo, Adolf Hitler. La parola in particolare è “tamquam” usata da Tacito con valore limitativo indicando che quel popolo era tutto uguale per quanto fosse possibile in un numero così alto di persone. Mentre i nazisti lo hanno inteso con valore concessivo, strumentalizzando il testo di Tacito per promuovere la filosofia di una razza selezionata e perfetta, la razza ariana. Hitler, vicino all’ esoterismo, come dimostrano alcuni suoi racconti e poesie esoteriche, ha seguito degli studi sull’antropologia esoterica(una pseudoscienza non riconosciuta) che parla dell’evoluzione dell’uomo attraverso le 7 razze-radici. La quinta, alla quale apparteniamo, è appunto quella ariana che discende dalla quarta, quella atlantica. Il Führer era talmente coinvolto in questa teoria che formò addirittura unità specifiche per cercare il continente perduto. Nulla ufficialmente è stato trovato, ma alcune mappe tedesche parlavano di un “regno sotterraneo”, Agharti, dove i pochi superstiti di Atlantide si stabilirono. Nulla di tutto questo è ovviamente confermato o attendibile, ma è affascinante notare come il mito di Atlantide sia pervenuto e cambiato nel corso dei secoli e che abbia lasciato così tante tracce seppur poco chiare e non definibili o passabili per ufficiali. Miti e leggende nascondo sempre un fondo di verità, quale sarà quello di Atlantide? Nei vari riferimenti alla città si parla di tecnologie evolute al servizio dello sfruttamento energetico e del perfezionamento dell’uomo, ad architetture complesse e magistrali, altri ancora ipotizzano un popolo già capace di sfruttare le onde elettromagnetiche per le comunicazioni. Forse per questo Platone pone Atlantide al di là delle Colonne d’Ercole, simbolo dei limiti e delle conoscenze umane, perché quel popolo li aveva superati. A cura di:Exion 22 Giugno 2023 La rappresentazione femminile nei videogiochi Nelle sue prime manifestazioni, il videogioco ha mostrato la donna come personaggio debole da dover salvare, come oggetto sessuale o quantomeno mirato ad essere appagamento/ricompensa per il giocatore, che secondo dati statistici vede(specialmente fino agli anni 90) un pubblico di quasi solo uomini. Anche lo sviluppo di un titolo mancava di personale femminile tra le sue file. A tal proposito va citata Carol Shaw, ricordata come tra le prime donne progettiste e programmatrici di videogiochi assunta nel 1978 da Atari. Nonostante però adesso il numero di giocatrici sia notevolmente aumentato, rimane inferiore il numero di sole protagoniste femminili nei videogiochi a discapito di quelli maschili. Tra le primissime protagoniste del mondo videoludico ci si ricorda sicuramente di Samus Aran, di “Metroid”, un gioco targato Nintendo dove la protagonista indossa un’armatura che la ricopre interamente. Solo alla fine del gioco viene rivelata la sua identità. Se da un lato è un ottimo passo avanti, dimostrando che anche le donne possono essere forti e protagoniste di storie, a differenza di altre eroine sempre di casa Nintendo come le principesse Peach e Zelda(che solo di recente vanno assumendo ruoli più marcati e meno stereotipati), dall’altro la rivelazione della donna sotto l’armatura viene usata come una specie di ricompensa per il giocatore, che in base al livello di completamento del titolo, vedrà la protagonista con meno veli addosso. Nel corso degli anni sono diverse le figure femminili che invece si sono rivelate eccellenti senza dover dimostrare certi gradi di sessualità, come Jade di “Beyond Good and Evil”, Elizabeth di “Bioshock Infinite”, Ellie di the “Last of Us” o Aloy di “Horizon” solo per citarne alcune recenti. Ma un personaggio fra tutti ha più mosso dibattiti e critiche al suo tempo, ed ovviamente parlo di Lara Croft in tutta la serie Tomb Raider. Lara Croft, quantomeno nelle sue prime apparizioni, si è dimostrata un personaggio non limitato da presenze maschili ed anzi perfettamente in grado di tener testa a chiunque, affrontando situazioni al limite e scontri difficili. Inoltre dimostra una caratterizzazione allora inedita, di una donna forte, sfrontata, sarcastica, che dalla sua ha una prorompente bellezza e sex appeal, ma che non si rivela mai essere argomento di discussione nelle sue avventure, né motivo di

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