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La terapeutica chiusura di un parco

Fin dalla nascita della saga, il segreto di Monkey Island é stato il punto cardine delle varie teorie sviluppatesi nel tempo dalla community, alimentando quell’alone di mistero che ha avvicinato tanti altri giocatori al franchise. Il segreto di Monkey Island mai svelato é ciò che ha mantenuto viva la curiosità, l’interesse, l’emozione di molti giocatori, che anche se cresciuti nei successivi 32 anni, non hanno mai smesso di essere bambini, ancora alla scoperta del famigerato segreto. Per cui il ritorno dopo tanto tempo di un nuovo capitolo dai creatori originali, non ha fatto altro che risvegliare quelle sensazioni figlie ormai della nostalgia.

Quello di Return to Monkey Island, é un finale oltremodo ossimorico, addirittura paradossale. Non tanto nel suo significato logico o puramente espositivo, ma nella preponderante valenza meta-narrativa che sviluppa con il giocatore. Questo titolo eclissa completamente il suo essere un prodotto di puro intrattenimento, per diventare uno strumento, oserei dire terapeutico, utile a sviluppatori e fan, per lasciar andare un tempo ormai passato, con amore e nostalgia, con dolore e consapevolezza, in una conclusione che é definizione stessa di finale dolceamaro.

Ciò che affronta questo titolo, sotto le mentite spoglie di una nuova avventura alla ricerca del segreto di Monkey Island, é il tema dell’accettazione. Mentre vediamo Guybrush affrontare questa tematica, egli non é altro che un eco del giocatore, che come Threepwood, fino all’ultimo, non vuole accettare un’amara verità: il parco divertimenti deve chiudere e, suo malgrado, deve lasciarlo. Ma come detto, questo capitolo della serie non é solo per i fan, ma anche per gli sviluppatori.

“Monkey Island ha storicamente rappresentato il riflesso delle vite delle persone che hanno realizzato quei giochi.”

Scrivono questo Ron Gilbert e Dave Grossman nella loro lettera ai fan(consultabile in gioco una volta terminato), a sottolineare come Monkey Island in qualche modo rispecchi la crescita dei suoi creatori attraverso i primi due capitoli, eccezionalmente in Tales of Monkey Island, ed infine in questo titolo. E questo lo si può facilmente percepire nei toni e nelle rappresentazioni che hanno i titoli sopra citati, dalla stessa, riconoscibile firma degli autori, eppure con una evidente maturità di capitolo in capitolo.

Sono passati quasi 32 anni, e i fan hanno atteso tutto questo tempo per poter assistere finalmente alla conclusione di una storia iniziata troppo tempo fa e mai terminata, lasciata in sospeso. Nel mentre i giocatori, come gli sviluppatori, sono cresciuti, sono maturati, ma al tempo stesso non hanno mai smesso dentro di essere bambini, desiderando il finale dei racconti che li hanno fatti emozionare. Ma come i bambini, non vogliamo mai che qualcosa di bello e di fantastico finisca, che una avventura avvincente giunga al termine. Vogliamo il seguito, ma non vogliamo che finisca. Tuttavia bisogna imparare a voltare pagina, capire e accettare che tutto ha una fine, ed é per questo che Return to Monkey Island é lo strumento terapeutico che accompagna il giocatore dinanzi la realtà, per poi lasciarlo affrontare un finale, che nel profondo conosceva già.

Lo studio di Gilbert decide di sviluppare questa dinamica trasformandola nel racconto di un adulto Guybrush Threepwood, che fin ora non ha fatto altro che raccontare storie sulle sue avventure a suo figlio. Il giovane Boybrush(un pó come il giocatore), vuole conoscere il mistero mai svelato del segreto di Monkey Island, e allora il padre si cimenta in questo nuovo racconto. Ovviamente, fin dal 1989, Ron Gilbert il “segreto” lo aveva bene in mente, e questo lo si può vedere nella moltitudine di anacronismi nella serie che fanno pensare a quello che in effetti é un parco divertimenti.

Per far fronte alle moltitudini di teorie, createsi nel corso degli anni, gli sviluppatori hanno scelto la via del finale multiplo, per permettere al giocatore di rendere più personale possibile il racconto, che tuttavia rimane quello pensato in origine da Gilbert: Guybrush é sempre stato all’interno di un parco divertimenti, un luogo dove svagarsi e vivere avventure(come per il giocatore). Ora però é cresciuto, e quella parte della vita, quelle avventure, quelle storie, vanno chiuse, il parco divertimenti va chiuso, e gli sviluppatori mettono in mano ai giocatori questo processo, nella parte del gioco tanto semplice quanto difficile da terminare.

Spegnere ad uno ad uno le luci, vedere il parco fermarsi ed oscurarsi, e raggiungere il cancello(dove si trova la targa: fondato nel 1989 da Ron Gilbert) per uscire insieme ad Elaine, é sicuramente un momento duro per il fan, che sta venendo accompagnato nella conclusione di una storia che é rimasta in sospeso troppo a lungo, e comunque sarebbe stato scelto il finale, non sarebbe stato pienamente soddisfacente dopo tanti anni di speculazioni e teorie fatte proprie.

Ron Gilbert, in un intervista, parla di cosa significa raccontare una storia. Le persone non ricordano sempre al 100% i particolari, per cui si tende a cambiare, a volta ad inventare nuovi elementi. Ron mette infatti in scena l’idea di un narratore inaffidabile, che potrebbe non dire tutta la verità o ricordare correttamente, esagerando persino alcuni aspetti in nome della nostalgia. Nel corso del tempo, anche i giocatori hanno fatto questo con il finale, immaginando cosi tanto come potrebbe essere, che per loro é diventato quasi canonico, come hanno fatto Boybrush e Chucky nell’interpretare la fine di Monkey Island 2 rispetto a quanto pensato da Guybrush.

Ed é per questo che non c’é un finale giusto o sbagliato, anche perché é molto probabile che qualsiasi finale si scelga, si proverà un iniziale delusione, un po’ come Boybrush, che vorrebbe un finale alternativo. Dopotutto al giocatore non é stato portato a “scoprire il segreto”, perché lo conosceva già. Piuttosto é stato invitato ad affrontarlo. E sottolineo invitato, poiché il giocatore può anche rifiutare di proseguire sul finale e rifiutare la realtà, tornando indietro e continuando ad immaginare storie. D’altronde gli sviluppatori sapevano che la gran parte dei fan avrebbe accusato il colpo una volta terminata la storia, lo scrivono anche nella lettera, per cui hanno lasciato la scelta di “farsi aiutare” ad affrontare questa fine di un capitolo passato al giocatore.

Ma alla fine é questo che andava fatto, dissolvere quella aspettativa infantile dell’eterna avventura alla scoperta del segreto di Monkey Island, e mettere la parola fine alla storia, per lasciar spazio a nuovi capitoli. Ognuno doveva però farlo a suo modo e con i suoi tempi, ed é infatti al giocatore che Eleine si rivolge, quando parla con Guybrush prima di lasciare il parco: “Sei pronto a tornare?”. Eleine, in una sottospecie di manifestazione degli sviluppatori, vuole dare il tempo di metabolizzare il tutto al giocatore, e prepararsi a chiudere dietro di se i cancelli del parco divertimenti, insieme a quella parte di vita, che come Guybrush nel finale di gioco, guarderemo e ricorderemo con immensa nostalgia.

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