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Arcologie: città del futuro

Architettura: disciplina dedita allo studio e realizzazione di spazi fruibili per l’uomo, modificando l’ambiente in diverse scale.

Ecologia: disciplina dedita allo studio delle interrelazioni che intercorrono fra gli organismi e l’ambiente che li ospita.

Due discipline diverse che vedono però entrambe come maggiori protagonisti l’ambiente e l’uomo. Quest’ultimo, nel suo proliferare come un virus sul pianeta, ha iniziato a modificare pesantemente l’ecosistema, per adattarlo ai suoi bisogni. Dai primi villaggi dell’antichità fino alle moderne megalopoli, l’interesse per l’uomo nei confronti della salvaguardia del suo ecosistema é stato irrisorio, e guardando indietro nella storia umana, il distacco tra queste due discipline, quando si parla di “espandere” la presenza umana su un dato territorio, sembra più che mai immenso.

A dirla tutta, le attuali forme di città non sono più neanche a “misura d’uomo” ma a “misura di automobile”. Man mano che le città si espandono, i terreni agricoli vengono allontanati dal centro urbano, i servizi si moltiplicano e si disperdono per le zone della città, e i cittadini si trovano sempre più distanti dai loro bisogni primari e sopratutto lontani dalla natura, principale sostentamento di vita, delimitando sempre più confini, come quello campagna-città, e sviluppando un senso di alienazione dal proprio ecosistema naturale.

Se ne accorse Paolo Soleri, architetto e urbanista italiano, che nel 1969 pubblicó “Arcologia: la città a immagine d’uomo”, un testo dove descrive la re-immaginazione di spazi nuovamente a misura d’uomo e con il quale plasma il termine “Arcologia”, un neologismo delle parole “Architettura” ed “Ecologia”, andando a sottolineare il ristabilito rapporto uomo-natura, concretizzato in un maggiore rispetto per l’ambiente e(per estensione) anche per se stesso. Quella di Soleri é però un idea frutto di decenni di ragionamenti e progetti di altri architetti e urbanisti, fin dal 1900, sul tema delle “città del futuro”, che andremo a ripercorrere prima di affrontare cosa é esattamente un arcologia.

Oggi come allora viene da chiedersi se le città moderne possano continuare a svilupparsi secondo gli attuali e tradizionali schemi urbanistici o se sia necessaria qualche rivoluzione. Insomma come saranno le città del futuro? Il primo a porsi questa domanda e a dare una prima soluzione é stato l’ideatore delle rotatorie, Eugène Alfred Hénard, che nel 1910 concettualizzò nel suo scritto “Les villes de l’avenir”, una prima idea di città futuristica.

L’urbanista francese propose un modello di città con strade multilivello, pensate per smaltire il traffico a livello pedonale, ridurre l’inquinamento, permettere future espansioni e favorire passaggi di condotti per ogni tipo di risorsa. Propose anche edifici, disposti a dentello per massimizzare la luce nelle residenze, e con tetti piani, non spioventi, adatti a diventare all’occorrenza, punti di sosta per automobili volanti. Di questo progetto sono stati ripresi più punti dalle moderne tecnologie di urbanistica, come le strade rialazate rispetto al livello del suolo per il passaggio di condotti e tubature.

Le idee di Hénard influenzarono l’urbanista franco-svizzero Charles-Édouard Jeanneret, conosciuto come Le Corbusier. Egli criticava aspramente le città contemporanee perché non al passo con la rivoluzione industriale e piene di ridondanze ed errori urbanistici, che le portarono ad essere più città per le auto(appunto) che non per l’essere umano. Le Corbusier allora sviluppa il “Modulor”, una scala di proporzioni basate sulla dimensione dell’uomo, ed inizia a sviluppare modelli di città dove si vede l’influenza di Hénard, prima nel progetto “Ville Contemporaine” del 1922, dove fa uso della disposizione dentellata degli edifici; si concretizza poi nel progetto più ampio della “Ville Radieuse” del 1930, dove idealizza una città costituita da ampi spazi di verde natura tra gli edifici ed una precisa disposizione degli stessi, con meno del 15% della superficie composta da strutture residenziali che si sviluppano in altezza e con parcheggi alla base. Una ferrovia circonda ad anello la città, restando in periferia.

Frank Lloyd Wright, tra le figure più influenti dell’architettura contemporanea, condivide il connubio uomo-natura dei progetti di Le Corbusier, ma vede sprecati(come altri critici) gli ampi spazi tra gli edifici, che diventerebbero semplicemente terreni incolti, possibilmente evitati dalla gente. Diversifica l’idea allora, in campi coltivati e non lontani dalla città e dagli edifici, ma facenti parte della città stessa. Nel 1935, l’architetto statunitense inizia quindi lo sviluppo del suo modello di eco-città ad espansione bidimensionale,“Broadacre city”, primo vero archetipo di città verde e sostenibile, un utopia agraria per così dire, tuttavia altamente dipendente da una rete stradale.

Il progetto descriveva i sistemi di trasporto, agricoltura e commercio che avrebbero sostenuto l’economia di una comunità agraria. Secondo Wright, l’eco-città del futuro sarebbe dovuta essere a bassa densità abitativa, distesa orizzontalmente e dispersa nell’ambiente naturale fino alla scomparsa definitiva del confine tradizionale tra città e campagna, come teorizzato nel suo saggio più noto “The Disappearing City”. La città avrebbe utilizzato un sistema stradale ripensato ad eliminare il “trasporto avanti e indietro” e dall’introduzione di macchine volanti per una migliore logistica, fornendo ad ogni unità familiare 1 acro di terra.

É proprio nei laboratori di Wright che Paolo Soleri nel 1947 si trasferisce, una volta finiti gli studi a Torino. Qui l’architetto entra in grave disaccordo con le teorie del maestro sul modello di “Broadacre City” perché pesantemente incentrata sulla mobilità e sul sistema stradale, un modello quindi pensato più per le auto che per l’uomo. Nonostante l’ intento di eliminare il confine tra città e campagna ed avvicinare uomo ed ecosistema, le possibilità pedonali dei cittadini risiedevano solamente negli acri di terra disposti alle unità familiari. Inoltre il modello di Wright, che più che un progetto urbano ne rappresentava uno socio-politico, non teneva conto dell’imponente espansione demografica umana e prediligeva uno sviluppo orizzontale, che avrebbe comunque reso necessaria una modifica dell’ambiente circostante.

Soleri lascia allora lo studio di Wright e si stabilisce nel 1955 nel deserto dell’Arizona, avviando il suo primo laboratorio urbano(poi divenuto la sua residenza fino alla morte), Cosanti. Qui l’architetto comincia il progetto (mai realizzato) “Mesa City”, nel 1958, un idea di metropoli da due milioni di abitanti interamente sollevata dal suolo, formata da villaggi composti di torri a fungo con ampi terrazzi e giardini pensili. Costituito da strutture tecnologicamente avanzate e collocata su un altopiano, si sarebbe dovuta estendere per 35 chilometri di lunghezza e 10 di larghezza. Nel 1969, i risultati della ricerca sul progetto Mesa City sono pubblicati nel volume prima citato “Arcologia: la città a immagine d’uomo”, dove Soleri identifica e descrive i fondamenti di una ipotetica arcologia.

Ma come può essere definita dunque un arcologia? Essa é figlia di tutte le idee e i progressi sulla concettualizzazione delle città del futuro. Soleri la descrive seguendo 6 principi:

Scala umana: si cerca di rendere quanto necessario al cittadino a distanze percorribili a piedi, sfruttando sistemi di trasporto pubblici avanzati per logistica e trasporto su lunghe distanze, eliminando così i mezzi privati e rendendo la città nuovamente a misura d’uomo e non più su misura per l’automobile;
Nesso cibo-energia: invece di allontanare i terreni agricoli e distaccando i cittadini da dove e come si procurano il cibo, in un arcologia si ristabilisce un rapporto uomo-natura, con i cittadini direttamente connessi alla produzione di cibo, eliminando i confini con l’ecosistema e sfruttando al contempo energie rinnovabili, puntando in questo modo all’autosufficienza;
Consumo marginale: grazie ad accurati bilanciamenti e nell’ottimale utilizzo di nuove tecnologie, oltre che un oculato sistema di riciclaggio, un arcologia mira a ridurre il consumo di materiali e risorse, migliorando la qualità della vita;
Effetto urbano: ossia lo sfruttamento della prossimità di servizi e attività nello spazio urbano per sviluppare un senso di comunità vibrante e spazio condiviso, per una maggiore socializzazione, crescita e confronto;
Densità limitata: invece di espandersi orizzontalmente, una arcologia si sviluppa verso l’alto e verso l’interno, permettendo così sia di contrastare lo sprawl urbano sia di rispettare l’ambiente; 
Frugalità elegante: cioè la tendenza a creare uno spazio in cui l’uso frugale di materiali e risorse condivise sia necessario e coltivi l’eleganza, andando a contrastare il materialismo, gli eccessi e gli sprechi, insomma, “fare di più con meno”.

Ora, spiegare cos’e un arcologia é relativamente semplice come visto, tuttavia spiegare il come é decisamente più complicato. Partiamo dal concetto di autosufficienza. Per quanto sia una strada importante da percorrere, l’autosufficienza completa non solo é molto difficile da raggiungere, ma é potenzialmente un obiettivo deleterio. Come città completamente autosufficiente infatti, ci si taglia fuori dal resto del mondo, impedendo un sano import/export di risorse con altre città, e creando un senso di isolazionismo che potrebbe influenzare anche culturalmente i cittadini. Dunque l’obiettivo dovrebbe essere ridimensionato ad una autosufficienza per esempio energetica, favorendo così le connessioni ed il mercato con altre città ed arcologie.

Proprio a proposito di energia, l’opzione più considerata é l’utilizzo di pannelli solari. Considerando lo sviluppo verticale, il posizionamento di pannelli solari lungo la struttura potrebbe potenzialmente fornire abbastanza energia, tuttavia non é considerabile coprire l’intera facciata esteriore di pannelli perché si priverebbero i cittadini(e le piantagioni) della luce solare. Alcune arcologie potrebbero sfruttare la posizione ed il territorio per migliorare la generazione di energia come punti con forti venti per l’energia eolica o zone con fiumi e/o mari per l’energia idroelettrica. Tuttavia non tutte potrebbero potenzialmente offrire questi vantaggi, la soluzione migliore sarebbe l’utilizzo di queste fonti di energia rinnovabili, utilizzate in combinazione con piccole centrali nucleari, piccole abbastanza da avere radiatori non troppo grandi e non dover gestire quantità di calore dissipato esagerate, garantendo così al contempo quantità di energia e luce solare per la vita cittadina ed i raccolti.

Quest’ultimi, i raccolti, rivestono un ruolo fondamentale nella concezione di una arcologia. L’obiettivo di queste strutture é di tornare a vivere in armonia con la natura. Mentre lo sviluppo verticale favorisce il ristabilimento dell’ecosistema terrestre ed ottimali biodiversità naturali, ciò permette, come espleta il primo principio, anche di riavvicinare l’uomo alla campagna, in quanto le coltivazioni sarebbero gestite all’interno della mega struttura. Campagne vere e proprie, serre, coltivazioni verticali, tra le varie soluzioni possibili, la migliore é forse quella delle coltivazioni idroponiche, che permetterebbe di massimizzare lo spazio per una produzione di massa. Il problema é rappresentato dall’assorbimento di luce solare delle piante e da come renderlo possibile. A parte la scelta di un luogo studiato, come i margini dell’arcologia o il suo punto massimo di altezza per massimizzare l’ora di luce, l’uso di luce artificiale potrebbe essere una possibile altra soluzione.

L’utilizzo di luci artificiali per le piante si ricollega al tema precedente dell’efficienza energetica e a quello della gestione dei rifiuti e delle emissioni. É giusto presupporre che oltre a prodotti della terra come cereali, frutta, ortaggi, legumi, ecc… un arcologia possegga anche allevamenti di animali per la produzioni di carni, pesci e derivati, come uova o formaggi. Animali e Uomo producono grandi quantità di rifiuti, senza tener conto delle elevate quantità di emissioni d’anidride carbonica ed eventuali problemi alle temperature all’interno della struttura. Tutto ciò danneggia pesantemente la qualità dell’aria e della vita. Un buon progetto arcologico dovrebbe quindi considerare l’utilizzo di climatizzatori e macchinari di purificazione e riciclo d’aria, insieme ad un ottimale sistema di gestione di scarico dei rifiuti.

Ed é proprio in questo contesto che tornano in aiuto le piante e il giusto utilizzo di luci artificiali. Le piante sono in grado riciclare(oltre a determinati rifiuti organici) le emissioni di CO2 in carboidrati ed ossigeno attraverso la fotosintesi. É dunque possibile sfruttare questa loro capacità, con l’aggiunta di una maggiore efficienza energetica sfruttando differenti spettri della luce. Se si divide infatti la luce solare assorbita in differenti lunghezze d’onda, é possibile usare solo spettri della luce rossa e blu per stimolare la germinazione e la fotosintesi dei vegetali, dirigendo gli altri spettri di luce non usati dalle piante come quello della luce verde, alla produzione energetica. Questa opzione permetterebbe una disposizione delle coltivazioni più interna (perché si sfrutterebbero luci artificiali e non la diretta luce solare) permettendo quindi di disporre le zone residenziali ai lati più esterni dell’arcologia, in diretto collegamento con la luce solare.

Risulta chiaro dunque che le parole chiavi per una arcologia siano bilanciamento ed ottimizzazione, in favore di un consumo oculato, efficienza produttiva ed energetica, ed una ottimale densità di infrastrutture per una scala più a misura d’uomo. Queste regole si estendono non solo alla gestione di cibo, acqua, rifiuti, emissioni, energia o aria, ma anche ai trasporti e alle aree comuni. Un arcologia sfrutterebbe la tridimensionalità non solo nello sviluppo della struttura e disposizione delle infrastrutture, ma anche e soprattutto per l’ottimizzazione del trasporto e della logistica, permettendo una riduzione se non una totale eliminazione del trasporto privato in favore di zone pedonali e trasporti pubblici. Bisogna infatti considerare che lo spostamento all’interno di un arcologia non sarebbe solo orizzontale o verticale, ma si svilupperebbe tridimensionalmente, possibilmente quindi in profondità, in obliquo, o seguendo precisi pattern studiati per minimizzare il time travel. Questo per favorire maggiormente aree pedonali e zone ricreative(e non) comuni, in grado non solo di fornire il necessario al cittadino a distanze brevi, ma di incentivare un senso maggiore di comunità, condivisione e reciproco rispetto nell’ottica di una robusta stratificazione sociale.

Un arcologia é dunque anche un progetto socio-culturale, che cerca di allontanarsi dalla cultura dello spreco e dell’eccesso, rispecchiando tale principio non solo nella realizzazione di una comunità unita e vibrante, ma anche nell’ottimizzazione di produzione e lavori per il corretto funzionamento dell’intera struttura. Una visione così pionieristica delle città del futuro si porta però dietro diverse problematiche, in primis quella del costo in termini economici e di risorse che una tale mega-struttura possa richiedere. Seguono poi le implicazioni socio-politiche e culturali, nonché i radicali cambiamenti che un’idea del genere possa richiedere alla gente, in quanto va a decostruire completamente il modo di “vivere” in una città. Inoltre le tecnologie attuali posso davvero permettere strutture del genere? Ed una arcologia inoltre, é in grado di far fronte in maniera efficiente alla crescita demografica della popolazione? Magari é necessaria una concettualizzazione dell’arcologia di tipo modulare, ma anche in quel caso le difficoltà abbondano.

Alla fine, seppur pensate e concepite, nessuna “città del futuro”, eco-città o arcologia é ancora stata creata. Nel 1970, Soleri comincia la costruzione di Arcosanti, quella che lui definisce un prototipo di arcologia sperimentale, nato a fini dimostrativi delle sue idee. Nonostante la capacità progettuale di quasi 5.000 persone, la popolazione della città é di poco meno di 100 abitanti. Il numero varia a seconda del numero di volontari impegnati nel progetto, perché appunto Arcosanti e un progetto a scopo educativo e di dimostrazione, divenuto nel tempo anche meta turistica. Si compone di macrostrutture con finalità abitative, lavorative e ricreative, caratterizzate da un alta complessità funzionale e strutturale, dall’utilizzo di tecnologie pulite e da collegamenti che rendono superfluo l’utilizzo di mezzi di trasporto, e nel suo piccolo, tenta di descrivere e mostrare i principi base sulla quale un arcologia dovrebbe basarsi.

Questo termine, Arcologia, non divenne subito parte della cultura di massa. É stato reso popolare da vari scrittori di fantascienza a seguito delle pubblicazioni di Soleri, spesso usando le arcologie in contesti distopici. Tra i vari romanzi che le hanno citate si possono ricordare “Oath of Fealty”, “Neuromancer”, “The Water Knife” o “The The World Inside”. Il grande pubblico ha conosciuto il termine anche grazie a “SimCity 2000”, che introdusse le arcologie nel gioco come strutture avanzate, mentre il cinema ha visto delle(ancora distopiche) rappresentazioni visive di arcologie in film come “Blade Runner”, suscitando un certo fascino e interesse nell’immaginario collettivo del futuro dell’uomo nel pianeta.

Tutt’oggi in effetti, il concetto di arcologia é di interesse architettonico ed ecologico, anzi probabilmente ora più che mai. La storia fin adesso ha visto diversi altri tentativi di arcologie e progetti simili, tutti fin ora falliti, rinviati o con falle nella progettazione. Particolare é il caso del “Begich Towers Condominium”, un complesso costruito per la prima volta nel ’57 e poi ricostruito a seguito di un maremoto nel ’64 in Alaska. La particolarità di questa struttura é che, seppur non pensata come tale, é possibile considerarla come un arcologia su piccola scala. L’edificio infatti possiede sia gli appartamenti privati che i principali servizi urbani, scuola, alimentari e uffici comunali, ospitando quasi tutta la popolazione della zona di Whittier, di circa 217 abitanti.

Tra i diversi esempi di progetti di arcologia falliti, rimandati o cancellati si ricordano:

  • 1971, “Old Man River’s City” di Buckminister Fuller, East St. Louis.

L’idea proposta come soluzione ai problemi abitativi della cittadina dell’Illinois, consisteva in una struttura abitativa per quasi 125mila persone a forma di cratere lunare, coperta da una cupola trasparente di 1, 6Km di diametro e alta 300m.

  • 1989, “Aeropolis 2001” della Obayashi Corporation, Tokyo.

Un grattacielo alto 2001m e composto da 500 piani, autosostenibile e climatizzato. La struttura, costituita da una navetta con 300 posti a sedere che riusciva a percorrere l’intero edificio in 15 minuti fermandosi ogni 40° piano, avrebbe ospitato circa 140mila residenti.

  • 1989, “Sky City 1000” della Takenaka Corporation, Tokyo.

La proposta consiste in un edificio alto 1.000 m e largo alla base 400 m, costituito da 14 livelli a forma di piatto concavo che si restringono dal basso verso l’alto, con al centro zone verdi e ai bordi infrastrutture e zone abitate, in grado di ospitare 35mila residenti.

  • 1992, “Tokyo Tower of Babel” di Toshio Ojima, Tokyo.

Un’arcologia-grattacielo alta oltre 10Km e con quasi 1250 piani, arrivando ad ospitare quasi 30 milioni di residenti. Anche considerando che era un progetto sviluppato durante il periodo della bolla speculativa giapponese, il piano é a dir poco irrealistico.

  • 1995, “X-Seed 4000” di Peter Neville, Tokyo.

Edificio che segue le forme del monte Fuji, con una altezza di 4000m, una larghezza alla base di 6000m e composto da 800 piani, in grado di ospitare 500mila persone. In alta quota possiede aree pressurizzate, mentre centralmente si sviluppano ampi spazi verdi.

  • 1996, “Shimizu Mega-City Pyramid” della Shimizu Corporation, Tokyo.

Un imponente arcologia dalla forma piramidale, alta 2004m e con una base di oltre 8 km², in grado di ospitare 750mila persone. Per sopperire le problematiche dovute al peso della struttura, gli ingegneri hanno pensato di usare nanotubi di carbonio.

  • 1996, “Hyperbuilding” della OMA, Bangkok.

Lo studio di architettura olandese propone una città-edificio autonoma per 120.000 persone, costituita da una torre alta 1.000m e un diametro di base di 250m, con tecnologie attive e passive per la produzione energetica e per la regolazione del microclima interno.

  • 1997, “Torre Biónica” di Eloy Celaya, María Rosa Cervera and Javier Gómez, Shangai e Hong Kong.

Costituita da una torre principale alta 1.228m ed un’isola base dal diametro di 1.000m, può ospitare fino a 100mila persone. Lo scopo del progetto é quello di utilizzare la bionica per affrontare il problema dell’aumento della popolazione in modo ecologico.

  • 2005, “Dongtan” di Alejandro Gutiérrez, Shanghai.

La progettazione è iniziata nel 2005 e nel 2010 lo sviluppo si è arenato. La città ecologica per 80mila residenti e situata in un zona umida, avrebbe riciclato l’acqua e riutilizzata per coltivare in modo idroponico.

  • 2006, “Lean Linear City” di Paolo Soleri, Macao.

È una città lineare autosufficiente, formata da due corpi principali di oltre 30 piani che si sviluppano paralleli per centinaia di Km, sfruttando un trasporto pubblico che collega i vari punti di ancoraggio dove rampe mobili permettono lo spostamento in altezza.

  • 2007, “New City Tower” della POPA e della T+T, Londra.

La visionaria città-torre di circa 1500m senza nucleo centrale, é in grado di ospitare fino a 100mila persone. L’edificio é diviso in sezioni, tra cui tre super-quartieri da 33mila persone e composto da grandi aperture circolari sulla facciata che fungono da spazi ricreativi.

  • 2007, “Crystal Island” della Foster and Partners, Mosca.

Edificio a forma di cristallo, con una altezza di 450m ed una base di 700m, costituita da 900 abitazioni di lusso e 3000 hotel, oltre che varie altre infrastrutture. È stato cancellato nel 2009 a causa del deterioramento della situazione economica in Russia.

  • 2008, “Ziggurat Pyramid” di Timelinks, Dubai.

la società araba di progettazione ambientale propone questa struttura piramidale a terrazze con piani successivi che si ritirano, in grado di ospitare 1 milione di abitanti. É autosufficiente grazie a fonti di energia natural oltre che essere a emissioni zero di carbonio.

  • 2008, “Masdar” della Foster and Partners, Abu Dhabi.

    La città punta alle 0 emissioni ed una dipendenza energetica unicamente solare. Studiata per contenere fino a 50mila abitanti, al 2016 solo parte é resa abitabile, per meno di 5mila persone. Ha un avanzato sistema di trasporto pubblico elettrico automatizzato.

  • 2009, “New Orleans Arcology Habitat”(NOAH) di Kevin Schopfer, New Orleans.

É un’arcologia galleggiante sul fiume Mississippi alta 350 metri e larga 600m, in grado di ospitare 40mila persone ed in grado di reggere a uragani e altri cataclismi. É costituita da tre torri che convergono alla sommità dando vita a un tetraedro vuoto all’interno.

  • 2010, “Green Float” della Shimizu Corporation, Tokyo.

Costruita su una piattaforma in lattice con celle a nido d’ape, galleggia nel Pacifico. Costiuita da una sezione alla base che ospita fino a 10mila residenti, una torre centrale concentrata sull’industria vegetale e una sezione aerea che ospita fino a 30mila residenti.

  • 2011, “Permeable Lattice City” di WOAH, Singapore.

Progetto urbano incentrato su una megastruttura di torri interconnesse da ponti, modulari e disposte in maniera sfalsata, che lo studio d’architettura cinese definisce “reticolo permeabile”, in grado di ospitare oltre 100mila persone per metro quadro.

  • 2015, “Time Squared 3015” di Blake Freitas, Grace Chen, Alexi Kararavokiris, New York.

Presentata ad un concorso di progettazione e non come proposta commerciale seria, é una torre alta circa 1700m a sezioni modulari, ognuna con uno spazio aperto dal lato esposto a sud (per la massima esposizione solare), creando blocchi “abitativi” a forma di L.

  • 2015, “Edison Tower” della Jendrusch Capital, New York.

Lo studio tedesco propone un conglomerato di 3 torri contigue, alto 1310m, con 296 piani ed in grado di ospitare 250mila persone. É composto interamente da sistemi di energia rinnovabile, con turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e sistema geotermico.

  • 2021, “The Line” di Sconosciuto, Tabuk.

Prima dichiarata da 9 milioni di abitanti e lunga 170km, poi ridimensionata a 300mila abitanti e 2,4Km, alta 500m e larga 200m, é una proto-arcologia di cui non si conoscono gli architetti responsabili, a rivendicarla é il principe Mohammed bin Salman Al Saud.

Insomma tanti progetti, molti arenati, altri cancellati, alcuni infattibili e nessuno concluso. Nonostante le proposte ci siano e le tecnologie ormai lo permettano, l’uomo non ha ancora del tutto abbracciato l’idea di abbandonare la tradizionale città per progetti di arcologie. Eppure, lo sviluppo verticale, l’autosufficienza e la riduzione del trasporto privato, sembrano essere le soluzioni alla sovrappopolazione e al degrado ambientale. Soleri definisce la tendenza umana “alla vita sparsa” deprivata e parassitaria, ed in effetti l’uomo sembra desensibilizzato riguardo la salvaguardia del suo stesso ecosistema, continuando a consumarlo e sfruttarlo senza sviluppare un rapporto di simbiosi mutualistica. Le arcologie costituirebbero una risposta concreta ai continui segnali che la Terra continua ad inviare per ricordarci che siamo ormai a ridosso di un punto di non ritorno.

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