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La Spada del Destino

L’estratto più iconico del racconto “La spada del Destino” dell’omonima raccolta di Andrzej Sapkowski, è sicuramente un dialogo in una visione di Geralt Di Rivia, tra lui e la regina Calanthe, riguardo la concezione del destino sulla base della scritta incisa sul calice di Craag An, che la driade Eithné ha offerto al witcher. La scritta nel calice recita “La spada del destino ha due lame. Una sei tu”, da questa il dialogo della visione:

“«La spada del destino ha due lame. Una sei tu. Ma qual’è l’altra, Lupo Bianco?»

«Non c’è destino.» Risponde lui. «Nessuno. Non esiste. Solo la morte ci è predestinata.»

«Esatto», risponde la donna dai capelli cenere ed il sorriso misterioso, «Esatto Geralt»”

Lo strigo non crede nel destino, piuttosto pensa che siamo noi stessi a costruircelo con le nostre azioni. Tuttavia nel racconto deve fare i conti con l’ineluttabilità del destino, che lo rincorre. Il legame che lo unisce a Ciri è frutto del fato, che lui lo voglia o meno. La stessa Cirilla glielo urla quando lui cerca di allontanarsi da lei, gridandogli che lui non può lasciarla, perché lei “è” il suo destino. Ma Geralt non la lascia perché vuole abbandonarla, ma perché, riflettendo sulla frase nel calice di Craag An, capisce che se lui è una delle lame del destino, l’altra è allora la morte, che lo segue ovunque vada. Per cui non vuole esporre la ragazza ad un simile pericolo.

Il significato della frase è però aperto a più interpretazioni. Per esempio è anche possibile che se Geralt è una delle lame, l’altra è Ciri. La cosa trova un appoggio se pensiamo che lo stesso calice su cui è incisa la scritta elfica, è stato offerto ancor prima a Ciri, che vedrebbe ben riflessa la profezia sulla sua persona: Lei è una delle lame del destino, l’altra è Geralt. In questo modo i due sono complementari l’uno dell’altro, ed i loro destini sono indissolubilmente legati. Uno è il destino dell’altro e viceversa.

Ma ciò non deve per forza significare che la nostra storia è predeterminata e che noi non abbiamo alcuna voce in capitolo. Se Geralt è una delle lame del destino, questo significa di per se che è lui a scegliere come usarla, forgiando lui stesso la sua storia. Deve però tener conto che quello che fa ha delle conseguenze e determina i movimenti e quindi il destino dell’altra lama, Ciri. Ciò può essere interpretato come la libertà di crearsi il proprio destino, sapendo che esso è legato ad un altra persona.

E allora in questo modo il concetto cambia, andando a definire quello che può essere inteso come l’influenza, attraverso le proprie azioni, sulle altre persone. Rispecchierebbe anche il ruolo che Geralt ha nei confronti di Ciri, un padre, che con le sue azioni fa da modello alla figlia. Il team di “CD Projekt RED” ha anche esteso questo concetto nelle decisioni che vanno a influenzare la fiducia che Ciri avrà in se stessa sul finale, determinando anche se questo sarà buono, cattivo o dolceamaro.

Geralt è parte del destino di Ciri così come Ciri è parte del suo destino. In una visione pragmatica del concetto di destino, questo è legato alla corrente filosofica del determinismo, che afferma che in natura nulla avviene per caso, ma accade tutto secondo rapporti di causa-effetto, evidenziando il dominio della necessità causale in senso assoluto e negando quindi l’esistenza del caso. Date quindi delle condizioni iniziali, tutto quel che accadrà nel futuro è determinato dalle leggi fisiche dell’Universo, il destino.

Di tutt’altro pensiero la corrente opposta al determinismo, ossia l’indeterminismo, che ammette l’esistenza di eventi e serie di cause non-lineari scollegate fra loro, negando l’assolutezza della necessità. Questa dicotomia tra destino e caso ognuno di noi può averla vissuta in prima persona, dando la colpa o ringraziando il caso per un evento o serie di eventi che non ci spieghiamo.

Georg Simmel, nella sua ultima opera del 1918 “L’intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici”, apre una parentesi riguardo il concetto di destino dinanzi al problema del significato della vita. In questo suo saggio, l’autore parla di vita, di morte e dell’esistenza umana, ma quando si trova a parlare del significato della vita, ritiene opportuno aprire un paragrafo a parte introducendo l’altra posizione possibile alla casualità sul significato della vita, ossia il destino.

In breve, secondo Simmel, esistono due elementi principali: un soggetto, che esiste di per sé, indipendente e che possiede un significato proprio; Poi vi sono degli eventi, degli accadimenti, indipendenti dal soggetto, del tutto casuali e senza significato proprio, che possono però modificare e determinare il significato del soggetto qualora entrino in contatto. Il concetto di destino nasce proprio quando tali eventi “urtano”, per così dire, il soggetto, acquisendo così un significato che non esige essere razionale o comprensibile da qualche idea.

In un ottica più concreta e materiale, l’uomo tende a dare ad eventi del tutto scollegati e casuali, un significato soggettivo legato alla propria vita, come per esempio il decidere di percorrere con la bici una strada diversa dalla solita, per poi scoprire che in quella solita strada che percorrevamo, proprio oggi che abbiamo deciso di cambiare, è crollata una palazzina sulla strada.

Questo però, dice Simmel, non significa che tutto ciò che ci accade è destino. Vi è infatti una certa “soglia” del destino, un determinato quantitativo di significato che un evento deve possedere perché, da casuale, diventi fato. A determinare tale significato è il flusso interiore della nostra vita, che seleziona tra gli eventi che ci toccano, quelli che meglio si intrecciano al nostro ritmo, identificando questi come segni del destino e considerando gli altri solo eventi casuali. Siamo noi esseri umani quindi, quelli che danno un tale valore agli eventi, per cui li si identifichi nel destino. Proprietà, come dice Simmel, propria dell’essere umano e non degli animali o delle divinità.

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